Diabete di tipo 1: protetti grazie ad una mutazione
Il diabete di tipo 1 non è solo una malattia autoimmune. Parte delle sue cause è scritta nel nostro DNA. Alcune varianti genetiche possono rendere le cellule del pancreas meno visibili al sistema immunitario. Risultato? Una minore probabilità di sviluppare la patologia. A fare luce su questo meccanismo protettivo ci ha pensato uno studio pubblicato dalla rivista Cell. Quanto ottenuto avrà ricadute pratiche anche nella cura. Un esempio? Il trapianto di isole pancreatiche potrebbe avvenire da donatori con questa particolare mutazione o con cellule modificate all'occorrenza mediante le tecniche di editing genetico.
CHE COS'È IL DIABETE DI TIPO 1?
Il diabete è una patologia caratterizzata da un aumento dei livelli di glucosio nel sangue. Quello di tipo 1 -che riguarda circa il dieci per cento delle persone con diabete- in genere insorge nell'infanzia o nell'adolescenza. Chi ne soffre subisce la progressiva distruzione, ad opera del proprio sistema immunitario, delle cellule del pancreas che producono l’insulina. Ecco perché la cura del diabete di tipo 1, quando la parte del pancreas deputata alla produzione degli ormoni (le cellule beta) è compromessa definitivamente, è rappresentata da iniezioni giornaliere di insulina. Fortunatamente, grazie allo sviluppo di sistemi di monitoraggio in continuo e ai microinfusori, la gestione della malattia ha fatto passi avanti da gigante rispetto al passato migliorando, di fatto, la qualità di vita di pazienti e famigliari.
NON SOLO AUTOIMMUNITÀ
Le ragioni per cui il sistema immunitario decide di attaccare erroneamente le cellule beta sono ancora poco chiare. Da diverso tempo però, complici tecniche di analisi del Dna sempre più precise, è emerso che alcune particolari mutazioni nel gene che contiene informazioni per la produzione di insulina si associano ad un minore rischio di insorgenza di diabete. Ed è proprio andando ad analizzare il ruolo di queste mutazioni che i ricercatori del Leiden University Medical Center hanno scoperto che l'autoimmunità non è solo questione di "sistema immunitario impazzito".
Nello studio pubblicato su Cell, realizzato in modello animale, è emerso che quando sono sotto stress, le cellule beta producono segnali che attirano l’attenzione del sistema immunitario, rendendosi bersagli dell’attacco autoimmune. Lo studio ha dimostrato che nelle persone con la variante genetica protettiva questo non accade: le cellule riescono a “scaricare” meglio lo stress, funzionano più a lungo e producono meno segnali pericolosi. Un risultato che sta a significare che non è solo il sistema immunitario a guidare lo sviluppo del diabete ma anche il modo in cui le cellule beta reagiscono agli stimoli.
LE RICADUTE DELLA SCOPERTA
Capire come questa mutazione protegge le cellule beta potrebbe aprire ora nuove strade terapeutiche. Da diversi anni infatti una dei trattamenti in fase di sperimentazione per il diabete è il trapianto di isole pancreatiche. Una delle possibili ricadute potrebbe essere quella di selezionare donatori portatori della variante per migliorare l'efficacia del trapianto. Non solo, in futuro si potrebbe pensare di riprodurre questo effetto anche nelle cellule di chi non ha la mutazione attraverso tecniche di editing genetico. Un approccio che, se confermato, potrebbe affiancarsi alle terapie immunologiche già in sviluppo, spostando il focus non solo sull’arrestare l’attacco autoimmune ma anche sul proteggere attivamente le cellule bersaglio.
Fonti
Genetic protection from type 1 diabetes resulting from accelerated insulin mRNA decay - Cell
Tratto da: Fondazione Veronesi, Daniele Banfi, 25 marzo 2025