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Curare le malattie dei denti preserva dalla demenza da anziani

Uno studio dell’Università del Minnesota ha messo in relazione il legame tra igiene orale e capacità cognitive nell’età avanzata, scoprendo che chi si ammala di parodontite, per esempio, se non la cura raddoppia le probabilità di sviluppare deficit.

Per invecchiare con un cervello in forma meglio affidarsi a un buon dentista oltre che a un bravo geriatra o a un bravo neurologo. A sostenerlo sono i ricercatori della Minnesota University School of Public Health di Minneapolis diretti da Ryan Dimmer che hanno appena pubblicato su Neurology i risultati di uno studio su 8.275 soggetti durato vent’anni secondo cui chi si ammala di parodontite ha un rischio raddoppiato di sviluppare demenza o della condizione che spesso ne è l’anticamera, il MCI (acronimo di mild cognitive impairment, cioè compromissione cognitiva lieve).

Lo studio

I soggetti esaminati avevano un’età media di 63 anni e all’inizio dello studio nessuno aveva segni di demenza, ma il 78% presentava qualche segno d’infiammazione buccale, il 12% di grado lieve e il 12% grave con carie soprattutto a carico dei molari. Il 19% aveva già perso un po’ di denti e al 20% non ne rimaneva più nessuno. La possibilità di trovare un simile scenario in italia è favorito da un’età media che è fra le più elevate del mondo. Se a ciò si aggiunge il fatto che di malattie del cavo orale come carie, gengiviti o parodontiti acute e croniche con perdita di denti, soffrono oltre 23 milioni di italiani, la scoperta USA non è da sottovalutare perché, come vedremo, è possibile porvi rimedio.

Il legame con il prediabete

Il legame fra igiene dentale e salute cerebrale passa per il prediabete, condizione che, se non trattata, prelude a diabete vero e proprio che apre le porte alla demenza: a svelarlo è stato proprio Dinner che, come epidemiologo, ha portato avanti per 5 anni un altro studio con i NIH americani (i National Institute of Health) che è stato chiamato ORIGINS, acronimo di Oral Infections, Glucose Intolerance and Insulin Resistance Study cioè Studio su Infezioni della bocca, intolleranza al glucosio e resistenza insulinica, secondo cui 11 ceppi batterici che normalmente si trovano nel cavo orale (fra cui: Aggregatibacter actinomycetemcomitans, Porphyromonas gingivalis, Treponema denticola, Tannerella forsythia e Actinomyces naeslundii) oltre una certa soglia conseguente a scarsa igiene orale, possono dar luogo a un microbiota buccale che favorisce periodontite che risulta significativamente associata a prediabete che a sua volta favorisce lo sviluppo di demenza.

Malattie multifattoriali

La correlazione fra diabete e demenza è nota dal 2012 quando sono stati pubblicati sempre su Neurology i risultati del Rotterdam Study, che ha sancito la «comorbidita» fra queste due malattie, almeno per i primi tre anni di esposizione del cervello ad elevata carica glicemica. Una neurologa della Brown University (Usa), la professoressa Suzanne Marie de la Monte, ha definito l’Alzheimer addirittura un diabete di tipo 3, a intendere che è una sorta di diabete che colpisce selettivamente il cervello, con caratteristiche simili ai piùnoti diabete di tipo 1 e di tipo 2. «L’anno scorso uno studio inglese su obesi e diabetici studiati con risonanza magnetica cerebrale pubblicato sempre su Neurology dall’Università di Leicestershire» commenta Stefano Sensi del Centro di Studi e Tecnologie Avanzati (CAST) dell’Università di Chieti «ha indicato che in queste persone si crea una vera e propria insulino-resistenza cerebrale che porta addirittura a una critica riduzione delle aree cerebrali dell’ippocampo, notoriamente correlate ad apprendimento e memoria. I risultati del recente studio USA su igiene orale, diabete e demenza sarebbero un ulteriore tassello che si aggiunge al legame fra queste due malattie, anche se, correttamente, i colleghi americani non parlano di chiaro meccanismo causa-effetto, ma solo di una forte associazione. Una giusta cautela in quanto la malattia è certamente multifattoriale e molte variabili come appunto il sovrappeso o ad esempio l’abitudine al fumo possono confondere i risultati. Resta intrigante però il legame che sempre più si sta scoprendo fra sistema digestivo e cerebrale, la cosiddetta Gut-Brain connection. Affascinanti risultati stanno affiorando fra composizione del microbiota intestinale e malattie degenerative come l’Alzheimer e, soprattutto, la malattia di Parkinson».

Il ruolo della masticazione

Il commento del professor Sensi offre la spalla a un altro dato noto da tempo secondo cui la buona masticazione, una funzione ridotta o abolita dalla perdita di denti provocata da parodontite, va a stimolare positivamente proprio le aree cerebrali dell’ippocampo che si compromettono nella demenza. Il primo ad accorgersene è stato Minoru Onuzuka della Gifu University School del Giappone che ha pubblicato nel 2013 su Behaviour Brain Research uno studio prima su animale e poi su uomo in cui ha evidenziato tramite PET che l’atto del masticare fa aumentare gli impulsi diretti all’ippocampo. La scuola nipponica e non solo quella hanno proseguito su questo filone di ricerca tant’è che l’anno scorso una review su ben 5.666 segnalazioni pubblicata su Frontiers of Physiology da un gruppo di ricercatori brasiliani e canadesi ha concluso che la disfunzione masticatoria risulta significativamente associata allo sviluppo di demenza.

Protesi protettive

Evidentemente le cure odontoiatriche sono importanti per il cervello non solo in virtù della prevenzione delle malattie del cavo orale, ma anche per ovviare alla perdita dei denti tramite protesi fisse o mobili che mantengano comunque la funzione masticatoria. Ma al di là di una buona dentiera o di un buon impianto, il segreto di una buona igiene orale e, a quanto pare anche di una lucida vecchiaia, resta comunque nelle nostre mani con una sana prevenzione quotidiana affidata allo spazzolino. Peccato che nel nostro Paese solo poco più di un terzo degli italiani (39,1%) dedichi adeguata attenzione all’igiene e alla cura dei denti e quasi la metà sia afflitta da parodontite cronica con caduta dei denti per danno delle radici (10-14% dei casi).

Tratto da: Corriere Salute, Cesare Peccarisi, 08 agosto 2020