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Un farmaco per l’artrite reumatoide potrebbe preservare la funzionalità delle cellule pancreatiche

Un trial clinico di fase 2 dimostra che golimumab, un farmaco usato per altre malattie autoimmuni, mantiene in funzione le cellule beta del pancreas permettendogli di continuare a produrre insulina. I bambini con diabete 1 potrebbero quindi ridurre notevolmente il ricorso all’insulina esogena.

Nonostante la diagnosi di diabete 1 le cellule beta del pancreas continuano a produrre insulina in maniera autonoma. Succede grazie a golimumab, un anticorpo monoclonale indicato per altre malattie autoimmuni come l’artrite reumatoide, l'artrite psoriasica o la colite ulcerosa. O almeno questo sembrano dire i risultati di uno studio di fase 2 pubblicati sul New England Journal of Medicine secondo i quali il farmaco che agisce come inibitore del fattore di necrosi tumorale alfa (Tnf-alfa) riduce significativamente la necessità di ricorrere all’insulina esogena, la forma sintetica dell’ormone di cui i pazienti con diabete 1 non possono fare a meno.

Al trial clinico randomizzato in doppio cieco hanno partecipato 84 ragazzi tra i 6 e i 21 anni di età con una diagnosi recente di diabete 1 che sono stati suddivisi in due gruppi: il primo è stato trattato con un’iniezione sottocutanea di golimumab e l’altro con placebo. La sperimentazione è durata 52 settimane. L’obiettivo dello studio era valutare la capacità del farmaco di mantenere in funzione le cellule beta. Ebbene, i ricercatori hanno osservato una maggiore produzione di insulina endogena tra i pazienti che avevano assunto il farmaco rispetto a quelli che erano stati trattati con placebo.

«L’obiettivo principale dello studio era vedere se golimumab poteva preservare la funzione delle cellule beta in questi pazienti con una nuova diagnosi, e lo fa», commenta Teresa Quattrin, docente di pediatria all’University at Buffalo,  a capo dello studio.

I risultati della fase 2 dovranno essere confermati in fase 3 su un numero molto più ampio di partecipanti. Per ora però le potenzialità di golimumab nel trattamento del diabete 1 sono estremamente promettenti. Una terapia capace di rimandare o di ridurre significativamente il ricorso all’insulina esogena, quella che i diabetici devono necessariamente iniettarsi quotidianamente, rappresenterebbe una svolta nella gestione della malattia autoimmune che colpisce in età giovanile.

Per verificare la funzionalità delle cellule beta, i ricercatori hanno misurato i livelli del peptide C nel sangue dei partecipanti in un test specifico per il diabete 1 chiamato “test di tolleranza del pasto misto”. I valori del peptide C sono direttamente associati alla produzione di insulina endogena.

I risultati delle analisi del sangue hanno dimostrato che i pazienti trattati con golimumab avevano livelli del peptide C superiori a quelli dei pazienti che avevano assunto un placebo.

Più precisamente: il 41 per cento dei membri del gruppo sperimentale aveva mostrato un aumento oppure una riduzione inferiore del 5 per cento nei livelli del peptide C in confronto all’11 per cento dei membri del gruppo di controllo. Dopo 52 settimane quasi il 43 per cento dei partecipanti trattati con golimumab era in remissione parziale contro il 7 per cento di quelli che avevano ricevuto il placebo.

L’anticorpo monoclonale finora usato in altre patologie autoimmuni si è dimostrato quindi capace di ridurre il dosaggio dell’insulina esogena: per coloro che assumevano golimumab, durante le 52 settimane dello studio, la dose di insulina è aumentata solo leggermente, 0,07 unità per chilogrammo al giorno, contro 0,24 unità per chilogrammo al giorno per le persone del gruppo del placebo.

Infine i dati di un’analisi post-hoc, condotta cioè dopo la conclusione della sperimentazione clinica, hanno rinforzato i risultati del trial clinico, dimostrando che i partecipanti di età inferiore ai 18 anni avevano avuto il 36 per cento in meno di episodi di ipoglicemia di livello 2 (inferiore a 54 mg per decilitro) rispetto agli altri.

La scelta di testare golimumab nel trattamento del diabete 1 è stata suggerita dal particolare meccanismo d’azione del farmaco. Golimumab è infatti un inibitore del fattore di necrosi tumorale alfa, una citochina coinvolta nell’infiammazione sistemica, che è presente a livelli elevati nelle persone con una diagnosi recente diabete 1 con effetti tossici sulle cellule beta del pancreas che producono insulina.

Si è pensato quindi che un farmaco capace di inibire il fattore di necrosi alfa potesse tornare utile anche nel diabete 1. E l’ipotesi sembrerebbe per ora confermata.

Tratto da: Healthdesk, 04 dicembre 2020