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Come (e perché) proteggere il cuore se si soffre di diabete

Sette persone con diabete su dieci sono a rischio molto alto di eventi cardiovascolari: le raccomandazioni congiunte di diabetologi e cardiologi per prendersi cura del cuore.

L’allarme arriva dall’ultima edizione degli Annali dell’Associazione Medici Diabetologi, con cui sono state monitorate oltre 490mila persone con diabete in cura nei 258 Centri di diabetologia aderenti al database AMD: il 65 per cento di chi ha il diabete di tipo 1 e il 78 per cento di chi soffre di diabete di tipo 2 è ad alto rischio per un evento cardiovascolare, come un infarto o un ictus. Anche per questo di recente la Società Italiana di Diabetologia e la Società Italiana di Cardiologia hanno stilato un documento congiunto in cui sono raccolte tutte le raccomandazioni per proteggere il cuore dei pazienti.

Rischio elevato

Il cuore è infatti uno dei bersagli preferiti dell’eccesso di glicemia: il diabete raddoppia il rischio di morte per cause cardiovascolari, con un pericolo più elevato nelle donne. «Circa il 30 per cento delle persone con diabete ha già avuto un evento cardiovascolare o cerebrovascolare e/o presenta i segni di una insufficienza cardiaca», ricorda Agostino Consoli, presidente SID. In questi pazienti serve un controllo glicemico ottimale ma anche il monitoraggio e la gestione di tutti i possibili fattori di rischio cardiovascolare aggiuntivi come l’ipertensione, l’iperlipidemia o lo scompenso cardiaco; inoltre secondo le ultime linee guida europee, riprese anche nel nuovo documento italiano, i pazienti diabetici con malattia cardiovascolare aterosclerotica o a rischio cardiovascolare alto o molto alto dovrebbero essere trattati con agonisti dei recettori GLP-1 o inibitori di SGLT2 in prima scelta. Sarebbe meglio non scegliere la metformina in prima battuta come avviene in tutti gli altri pazienti con diabete di tipo 2, quindi, perché questo farmaco è sicuro in chi ha una malattia cardiovascolare nota ma ci sono prove limitate su un suo potenziale effetto protettivo su eventi come infarti e ictus: poiché esistono principi attivi che invece hanno effetti positivi sul cuore, questi sarebbero da preferire.

Utilizzo ancora scarso

Condizionale d’obbligo perché i dati degli annali AMD mostrano come i nuovi farmaci siano ancora poco impiegati rispetto a quanto sarebbe opportuno. Spiega Basilio Pintaudi, coordinatore del Gruppo di lavoro AMD Real World Evidence: «La fotografia scattata dall’analisi AMD evidenzia come nella pratica clinica quotidiana non sia completamente tradotto ciò che dimostrano i risultati degli studi clinici di sicurezza cardiovascolare. Solo il 10 per cento delle persone con diabete a rischio molto elevato di danno cardiovascolare risulta in trattamento con un inibitore SGLT2, solo il 6 per cento con un agonista GLP1, le classi di farmaci che hanno mostrato i maggiori benefici in termini di riduzione del rischio cardiovascolare. L’analisi poi ha anche valutato la qualità di cura complessiva: a una qualità di cura più bassa corrisponde un maggiore rischio cardiovascolare». Il documento sottolinea la necessità di fare particolare attenzione alla malattia coronarica, che provoca oltre la metà dei morti fra i diabetici che, come sottolinea Ciro Indolfi, presidente SIC, «hanno spesso una coronaropatia più severa e diffusa rispetto a chi non soffre della malattia. L’infarto inoltre compare in età più giovane, è più esteso e più grave ma soprattutto può avere sintomi molto attenuati o addirittura assenti perché a causa della neuropatia diabetica anziché il classico dolore al torace si può avere difficoltà di respiro, oppressione al petto, nausea, stanchezza inspiegabile. Il controllo attento dei fattori di rischio cardiovascolari nei diabetici che non hanno avuto eventi e, ancor di più, in chi ha già avuto un infarto è indispensabile».

Tratto da: Corriere della Sera Salute, Elena Meli, 12 marzo 2021