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Malattia renale cronica, colpiti sei milioni di italiani

Siete ipertesi? Diabetici? Obesi? Soffrite di qualche patologia cardiaca? Se la risposta è “sì” ad almeno una di queste domande, allora fareste bene a chiedere che il vostro medico di famiglia vi prescriva, almeno una volta l'anno, due semplici esami clinici: GFR (Glomerular Filtration Rate) cioè la Velocità di filtrazione glomerulare, e ACR, vale a dire Albumina, creatinina e rapporto tra albumina e creatinina. A dispetto di due nomi piuttosto criptici per i non addetti ai lavori, si tratta di due test sulle urine molto semplici con un costo di pochi euro. Che però possono farvi scampare alle conseguenze di una malattia ancora ampiamente sottodiagnosticata nel nostro Paese: la malattia renale cronica. Si tratta di una condizione grave e progressiva, senza sintomi specifici negli stati iniziali e perciò con forti ritardi nella diagnosi, mentre nelle fasi iniziali si potrebbe evitare il declino della funzionalità renale e la progressione al suo stadio terminale che può portare i pazienti a dialisi o morte prematura. Si stima che ne sia affetto il 10 per cento circa degli italiani, vale a dire qualcosa come sei milioni di persone.

Da oltre venti anni la medicina non riusciva a trovare farmaci specifici. Oggi, finalmente, la ricerca ha prodotto un risultato importante: un farmaco in grado non solo di ridurre significativamente la mortalità e di migliorare fortemente la qualità di vita delle persone ma anche, se usato tempestivamente e in maniera appropriata, di portare importanti risparmi al Servizio sanitario nazionale. Dapagliflozin (questo il nome del farmaco), infatti, ha appena ottenuto la rimborsabilità dall'Agenzia del farmaco (Aifa) e, non appena pubblicata la decisione in Gazzetta Ufficiale, prevista a giorni, potrà essere prescritto a carico del Ssn.

Di tutti questi aspetti si è parlato martedì 17 gennaio in una conferenza stampa a Roma.

Lo studio internazionale DAPA-CKD su 4.304 pazienti ha mostrato che dapagliflozin, aggiunto allo standard di cura, ha ridotto, rispetto alla “semplice” cura standard, del 31% il rischio di mortalità per tutte le cause e del 39% il rischio relativo di peggioramento della funzionalità del rene, l’insorgenza di malattia renale allo stadio terminale o il rischio di morte cardiovascolare e renale in pazienti con malattia renale cronica allo stadio 2-4 con albuminuria. «L’approvazione di dapagliflozin – sostiene dunque Loreto Gesualdo, professore di Nefrologia all’Università Aldo Moro di Bari e Past President della Fondazione italiana del rene – rappresenta una svolta epocale nel trattamento della malattia renale cronica, patologia con alto tasso di mortalità che per il paziente in dialisi è del 50% a cinque anni, superiore a quella dei linfomi, cancro della prostata e della mammella. Questo farmaco è in grado di modificare la progressiva evoluzione del danno renale e cardiovascolare, con una semplice assunzione orale quotidiana».

Tuttavia «è fondamentale ricordare l’importanza della diagnosi precoce – avverte Gesualdo – a partire dal medico di medicina generale, nell’individuare i pazienti a rischio di sviluppare la patologia, cioè obesi, diabetici, ipertesi e cardiopatici, e sottoporli ai test GFR e ACR».

L’approvazione fa di dapagliflozin il primo trattamento ad avere un’indicazione specifica per la malattia renale cronica e l’unica opzione terapeutica, insieme alla diagnosi precoce, che consente di rallentare la progressione della malattia e l’entrata in dialisi.

«È stato dimostrato che dapagliflozin presenti efficacia nefro e cardio protettiva in pazienti con e senza diabete» conferma Luca De Nicola, professore di Nefrologia all’Università Luigi Vanvitelli di Napoli. «È in grado di rallentare l’entrata in dialisi anche di dieci anni – precisa - perché agisce antagonizzando il principale meccanismo di peggioramento della patologia renale, ossia l’iperfiltrazione glomerulare, presente sia nelle persone diabetiche che nei pazienti con funzione renale ridotta con e senza diabete».

Quanto agli aspetti economici, la malattia renale cronica, come ricorda Francesco Saverio Mennini, professore di Microeconomia ed Economia sanitaria all'Università di Roma Tor Vergata e presidente della Società italiana di health technology assessment (Sihta), «è associata a un consumo di risorse sanitarie, costi sanitari diretti e indiretti, che aumenta in relazione alla gravità della malattia. Nel 2021, in Italia, la spesa per la malattia renale cronica ha rappresentato il 3,2% della spesa sanitaria complessiva a carico del Ssn, per un totale di circa 4 miliardi di euro e, sulla base dei risultati dello Studio INSIDE CKD, entro il 2026 è stato stimato un aumento dei costi annuali per questa patologia del 10,8%, dei quali il 53% imputabile alla terapia renale sostitutiva». Il farmaco, aggiunge De Nicola, può avere «un significativo impatto anche sulla spesa sanitaria: riduce le complicanze cardiovascolari e la necessità di dialisi e, di conseguenza, le ospedalizzazioni. Una proiezione di dati presentata dalla Società italiana di nefrologia ha dimostrato che, a tre anni, è possibile risparmiare circa 200 milioni di dollari, 182 in dialisi e 14 in ospedalizzazioni da scompenso cardiaco».

L’approvazione di dapagliflozin «rappresenta un’opportunità rivoluzionaria per i pazienti affetti da malattia renale cronica – sostiene infine Raffaela Fede, direttore medico di AstraZeneca Italia - che hanno ora a disposizione un trattamento specifico in grado di rallentare la progressione della malattia, prolungare e migliorare la sopravvivenza e ridurre l’accesso in dialisi; aspetti per cui dapagliflozin, soprattutto se associato a una diagnosi precoce, rappresenta l’unica opzione realmente valida per i pazienti».

Tratto da: Healthdesk, 19 gennaio 2023