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Infarto Miocardico Acuto. Ridurre la mortalità si può, ma bisogna lavorare sul territorio

Ogni anno in Italia si registrano da 130mila a 150mila nuovi casi di Ima e dal 16 al 20 % delle persone muore entro 12 mesi dal ricovero. Ma grazie alle  tecniche di rivascolarizzazione si è dimezzata la mortalità a 30 giorni, che in passato superava il 15%. Non è migliorata invece la mortalità fuori ospedale. I dati della Campagna Nazionale di Audit promossa dall’Anmco.

Ogni anno in Italia si registrano da 130mila a 150mila nuovi casi di infarto miocardico acuto: oltre 25mila pazienti muoiono prima di arrivare al ricovero. L’8% dei pazienti ricoverati muore entro 30 giorni dalla dimissione dall’ospedale. E circa l’8-10% muore entro un anno. Complessivamente, dal 16 al 20 % delle persone che sopravvivono a un infarto muore entro 12 mesi dal ricovero ospedaliero.

Le tecniche di rivascolarizzazione hanno permesso di dimezzare la mortalità entro i 30 giorni, che in passato superava il 15%. La mortalità fuori ospedale, invece, non è migliorata, e questo evidenzia l’importanza di seguire i pazienti in modo adeguato sul territorio per assicurare la continuità delle terapie e della riabilitazione cardiologica.

Questi i risultati del progetto formativo Appro-Evo Audit Acs, che ha coinvolto circa 600 cardiologi di tutta Italia. presentati al 55° Congresso Nazionale di Cardiologia dell’Anmco. Obiettivo del progetto, valutare la pratica clinica e l’appropriatezza delle procedure nella gestione dei pazienti con diagnosi di infarto miocardico acuto, per ridurre l’incidenza dell’infarto e la mortalità durante e dopo il ricovero.

“Dai dati raccolti emerge che tra i pazienti gestiti in ospedale per un episodio infartuale un quarto ha già avuto un infarto in precedenza, il 35% è fumatore, il 95% viene sottoposto a coronarografia durante il ricovero e l’85% ad angioplastica per riaprire la coronaria responsabile dell’infarto – ha detto Furio Colivicchi, Past President Anmco e Direttore Cardiologia Clinica e Riabilitativa dell’Ospedale San Filippo Neri di Roma – oltre il 40% dei pazienti ricoverati per infarto è già in trattamento con statina ed il 6% ha una forma di intolleranza alle statine”.

L’intervento formativo, che ha coinvolto i professionisti di 50 centri italiani, è risultato efficace in termini di miglioramento dell’impiego, delle diverse opzioni terapeutiche disponibili per la gestione dell’ipercolesterolemia. “Nella seconda fase del progetto, alla dimissione dopo un infarto – prosegue Colivicchi – si è osservato un incremento dell’impiego della terapia di combinazione statina-ezetimibe (dal 60 al 70%), utile per una più rapida ed efficace riduzione del colesterolo, e dell’impiego degli anticorpi monoclonali anti PCSK9, potenti farmaci per ridurre il colesterolo, dall’11% dei pazienti al 18% dei pazienti dimessi dopo un infarto. Altro dato di rilievo è che, parallelamente, nei pazienti con più alti livelli di colesterolo (C-LDL >150 mg), i quali dopo un infarto richiedono un trattamento di intensità particolarmente alta per portare il colesterolo ai livelli raccomandati, l’impiego di questi farmaci è passato dal 50% al 75%”.

Globalmente i risultati del progetto di audit confermano l’importanza di effettuare verifiche delle attività svolte all’interno dei singoli centri per evidenziare gli scostamenti rispetto alle indicazioni delle linee guida e migliorare le cure. I risultati ottenuti, conclude quindi Colivicchi “dimostrano l’efficacia dell’Audit clinico come strumento che può favorire il cambiamento e il miglioramento della pratica clinica ed evidenziano il forte impegno della cardiologia ospedaliera italiana nei confronti dei pazienti con infarto per garantire loro trattamenti ottimali, e ridurre così le recidive, abbattere la mortalità e migliorare la qualità di vita”.

Parte integrante di questo impegno, rimarca Colivicchi, è “la costruzione della continuità assistenziale ospedale-territorio, in modo da non disperdere quanto si fa durante il ricovero e aiutare i pazienti ad affrontare la riabilitazione cardiologica, continuare nel tempo i controlli e proseguire nell’arco della vita le terapie avviate in ospedale. Oggi ci confrontiamo con un’assistenza cardiologica territoriale ancora molto frammentata. L’auspicio è che tale situazione possa migliorare a fronte dei fondi messi a disposizione del Pnrr e del futuro nuovo Piano Sanitario Nazionale”.

“L’Anmco la più grande Società Scientifica della Cardiologia dimostra ancora una volta la sua capacità di mettersi a disposizione del Ssn per verificare continuamente le possibilità di miglioramento nella pratica clinica quotidiana in ambito cardiovascolare nell’interesse dei nostri pazienti. Questo progetto, contribuirà senz’altro a rendere sempre più sicura ed efficace la terapia delle patologie cardiache, riducendo notevolmente il rischio cardiovascolare globale” conclude Fabrizio Oliva, Presidente Anmco e Direttore Cardiologia 1 dell’Ospedale Niguarda di Milano.

Tratto da: Quotidiano Sanità, 17 maggio 2024