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Retinopatia diabetica e demenza: potrebbero essere correlate, ma ancora pochi si controllano

Solo poco più di una persona con diabete su dieci si sottopone all’esame del fondo oculare, che invece è fondamentale per preservare la vista.

Non è soltanto una delle cause più comuni di cecità nelle persone giovani, in età lavorativa, potrebbe essere anche una spia di demenza: la retinopatia diabetica, che si stima nell’arco della vita arrivi a riguardare una persona con diabete su tre, secondo un recente studio pubblicato su Scientific Reports da un gruppo di ricercatori della Kyushu University di Fukuoka, in Giappone, sarebbe associata anche a una probabilità più elevata di deficit cognitivi. Analizzando i dati di oltre 1.700 persone seguite per 10 anni, gli autori hanno scoperto che chi soffre di retinopatia ha un rischio di sviluppare demenza del 64 per cento più elevato, pur tenendo conto degli altri fattori di rischio fra cui il diabete stesso: stando agli autori, i segni di sofferenza dei micro-vasi sanguigni della retina sono un elemento indicativo dei danni cerebrali che poi portano al deterioramento cognitivo.

Fotografia del fondo oculare

Anche i giapponesi, quindi, sottolineano l’importanza di uno screening oculistico nelle persone con diabete: individuare chi sta sviluppando una retinopatia è fondamentale per salvare la vista e forse non solo quella, ma soprattutto sarebbe molto semplice. «Basta una fotografia del fondo oculare, che può essere fatta anche senza usare colliri per allargare la pupilla e da personale non medico - osserva Elisabetta Pilotto, presidente della Società Italiana della Retina -. Uno specialista serve poi per leggere l’esame e valutare se ci siano o meno i segni di retinopatia, altrimenti si potranno presto utilizzare sistemi di intelligenza artificiale. Nelle forme lievi si deve soltanto monitorare l’occhio, a una cadenza indicata dallo specialista; se ci sono complicanze come l’edema maculare o la retinopatia proliferante si può intervenire con terapie che bloccano la patologia, dal trattamento laser ai farmaci iniettati nel vitreo, che sono in grado di impedire la perdita della vista».

Evitare la cecità è possibile

Lo screening è indispensabile proprio perché esistono armi efficaci per evitare la cecità, purtroppo però poco più di un diabetico su dieci si sottopone all’esame del fondo oculare. La Società Italiana di Diabetologia invece raccomanda una visita oculistica completa entro cinque anni dalla diagnosi di diabete di tipo 1 o 2 e poi controlli ogni due anni, se non ci sono segni di danni alla retina, oppure annuali o più ravvicinati in caso di lesioni già presenti. Un esame del fondo oculare è comunque raccomandabile soprattutto dopo i 40 anni, anche in assenza di sintomi: la retinopatia diabetica di grado lieve non dà segno di sé, ma «anche in presenza di complicanze nelle prime fasi la vista può essere buona», precisa Pilotto.

Serve uno screening a livello nazionale

«In caso di edema, per esempio, non è detto che funzioni il test fai da te con la griglia di Amsler (un reticolo a quadretti che si usa per riconoscere la retinopatia legata all’età perché in caso di alterazioni retiniche le linee dritte vengono viste storte, ndr). La retinopatia diabetica è molto subdola: certamente per esempio deve mettere in allerta una differenza della funzione visiva nei due occhi, ma per non rischiare di mancare la diagnosi lo screening resta il mezzo migliore. In Italia esistono esperienze locali, condotte per esempio dai centri di diabetologia o dalle associazioni dei medici di famiglia, ma non c’è un’iniziativa nazionale che invece sarebbe auspicabile e anche relativamente semplice da realizzare, estendendo a tutto il Paese gli esempi virtuosi che già esistono», conclude Pilotto.

Il contributo dell'intelligenza artificiale

Il primo passo dello screening potrà essere fatto in maniera totalmente automatica, sfruttando un software di intelligenza artificiale (AI) messo a punto nel nostro Paese che analizza le immagini dell’Oct, la tomografia ottica computerizzata della retina: si chiama Ophtal ed è il primo programma per lo screening della retinopatia diabetica ad essere stato validato e aver ricevuto il marchio CE, a fine 2023. «Negli studi clinici di validazione, condotti su oltre 400 persone, abbiamo verificato che il margine di errore del software è inferiore all’1 per cento - racconta Edoardo Midena, direttore della Clinica Oculistica dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Padova e ideatore del programma -. Inoltre la consueta analisi dell’OCT si limita a misurare lo spessore della retina, Ophtal tiene conto anche di altri parametri che sarebbe altrimenti troppo lungo valutare senza l’intelligenza artificiale ma che sono molto utili per definire il miglior trattamento per il paziente e anche come seguirlo nel tempo. L’AI quindi non si sostituirà al medico, ma lo aiuterà a realizzare una medicina di precisione».

Approccio possibile nella pratica clinica

Il software è stato messo a punto «dando in pasto» all’intelligenza artificiale migliaia di immagini OCT «etichettate» con la relativa diagnosi e migliaia di altre senza alcuna indicazione: il software grazie all’apprendimento automatico ha così imparato come riconoscere una retina non perfetta. «La Società Italiana della Retina sta avviando un progetto multicentrico per dimostrare che l’approccio è fattibile ed efficiente anche nella pratica clinica reale, al di fuori delle sperimentazioni: entro giugno il software sarà fornito ad almeno 20, 25 centri con l’obiettivo di utilizzarlo su un minimo di mille casi nei prossimi mesi», conclude Midena.

Tratto da: Corriere della Sera Salute, Elena Meli, 11 agosto 2024