Alzheimer: otto biomarcatori per predire il rischio nei pazienti con declino cognitivo lieve
Lo studio italiano Interceptor ha identificato alcuni biomarcatori che, se presenti in combinazione in persone con disturbo cognitivo lieve, consentono di individuare con elevata accuratezza chi è a maggior rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer. Si tratta di un passo avanti significativo nella diagnosi precoce della demenza raggiunto grazie allo studio nazionale Interceptor, avviato nel 2018 e finanziato dal Ministero della Salute e dall'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA). I primi risultati sono stati presentati durante un convegno organizzato dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS), dal Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS e dall’IRCCS San Raffaele.
Lo studio Interceptor: modello con otto segnali predittivi
Questa scoperta, spiega l’Iss, potrebbe rivoluzionare le strategie terapeutiche e di prevenzione permettendo di individuare i soggetti a maggior rischio di sviluppare demenza tra quelle che soffrono di un disturbo cognitivo lieve e avviarli precocemente ai primi trattamenti che agiscono sui meccanismi biologici di sviluppo della malattia come quelli di recente approvati dalle Autorità per il Farmaco americane e di prossima approvazione da parte dell’agenzia europea.
Nato nel 2016 in previsione dell’approvazione da parte della FDA dei primi farmaci contro l’amiloide, lo studio Interceptor è stato promosso dal Professor Paolo Maria Rossini, allora direttore dell’Unità Operativa di Neurologia del Policlinico Gemelli e oggi responsabile del Dipartimento di Neuroscienze e Neuroriabilitazione dell’IRCCS San Raffaele di Roma. L’obiettivo primario era sviluppare un modello predittivo per identificare precocemente i pazienti con MCI a rischio di conversione in demenza, permettendo un utilizzo più selettivo e mirato dei nuovi trattamenti.
La ricerca ha coinvolto inizialmente circa 500 volontari, con una selezione finale di 351 partecipanti affetti da declino cognitivo lieve, distribuiti in 19 centri clinici su tutto il territorio italiano. I partecipanti sono stati sottoposti a una serie di esami per rilevare i seguenti biomarcatori: MMSE per la valutazione delle funzioni cognitive, il DFR per la valutazione della memoria episodica, FDG-PET per l’analisi dell’attività metabolica cerebrale, Risonanza Magnetica (RM) volumetrica per la valutazione dell’atrofia ippocampale, EEG per lo studio della connettività cerebrale, test genetico per APOE e4 ed infine esame del liquido rachidiano per la misurazione dei markers biologici di malattia di Alzheimer.
Durante il follow-up di 2,3 anni, con controlli ogni sei mesi, 104 pazienti con MCI sono progrediti verso la demenza, di cui 85 hanno ricevuto una diagnosi clinica di Alzheimer. Il modello finale include otto fattori predittivi: sesso, età, Amsterdam IADL, familiarità per la demenza, MMSE, volume dell’ippocampo sinistro (RM), rapporto abeta-42/p-tau e parametro combinato di Small Worldness dell’EEG. Q
Il modello sviluppato ha dimostrato un’accuratezza predittiva classificando correttamente l’81,6% delle persone con MCI sia quelle che convertiranno a demenza sia quelle che resteranno stabili.
In caso di approvazione da parte di Aifa di qualcuno dei nuovi farmaci, la comunità di ricercatori di Interceptor si propone ora per un Interceptor 2.0 per validare il modello su un numero relativamente piccolo di soggetti e verificare sul campo la capacità di selezione dei soggetti ad alto rischio e di erogazione e monitoraggio del farmaco.
Validazione del modello e prospettive cliniche per il trattamento con farmaci
“Ulteriori risultati, vista la vastità delle informazioni raccolte, saranno certamente disponibili nei prossimi mesi e anni – spiega Rossini -, inclusi quelli ottenibili attraverso algoritmi di Intelligenza Artificiale. Da queste analisi sono emersi importanti rilievi scientifici ed organizzativi per la lotta alle demenze, in particolare per una diagnosi precoce ed anche per una prevenzione efficace. Diversi articoli scientifici sono già stati pubblicati su questo dataset e altri seguiranno presto, anche grazie alle numerose collaborazioni avviate negli ultimi due anni con diversi gruppi di ricerca italiani”.
Il Presidente dell’ISS Rocco Bellantone ha sottolineato “il ruolo estremamente importante dell’Istituto in questo progetto di grande rilevanza per la sanità pubblica che si è concretizzato nell’elaborazione di un modello predittivo per il calcolo del rischio a 3 anni di conversione dal MCI a demenza di Alzheimer”.
Il Prof. Camillo Marra, Ordinario di Neuropsicologia e neuroscienze cognitive all’Università Cattolica e Direttore della Clinica della Memoria della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS rileva che “le valutazioni cliniche e neuropsicologiche hanno rappresentato il principale elemento predittivo nel modello di conversione da MCI a demenza e che in generale solo l’integrazione tra dati clinici e dei biomarcatori permette di raggiungere una buona accuratezza nella predizione della demenza di Alzheimer.”
“Solo l’integrazione tra dati clinici e biomarcatori nel modello predittivo - ribadisce Nicola Vanacore, ricercatore del Cnespss-Iss - permette di superare la soglia dell’80% di accuratezza predittiva, considerata adeguata a programmi di screening e prevenzione di salute pubblica”.
Anche il Presidente di AIFA, Robert Nisticò, ha commentato i risultati dello studio, sottolineando l’importanza di una selezione mirata dei pazienti per l’utilizzo delle nuove terapie. “L’Ema ha recentemente approvato il lecanemab, un anticorpo monoclonale che ripulisce il cervello della beta amiloide, la proteina che accumulandosi nel cervello può generare infiammazioni che portano alla neurodegenerazione e a disturbi come la perdita della memoria. Ma sull’efficacia del farmaco c’è ancora molta incertezza, perché rimuovere la beta amiloide non necessariamente ha un impatto positivo sul paziente in termini clinici e funzionali. Possiamo dire che questo, come altri già approvati dalla FDA americana, sono farmaci che rallentano il decorso della malattia, ma lo fanno in maniera transitoria e la loro efficacia a lungo termine è ancora tutta da verificare”.
L’Alzheimer, ha ricordato Nisticò, “è una malattia molto complessa che va aggredita sia con la prevenzione che con terapie in combinazione e con biomarcatori che consentiranno di fare diagnosi e capire la prognosi saranno in futuro importanti le cosiddette terapie target, capaci di colpire il bersaglio più giusto per ciascun paziente. Questo nell’ambito di un approccio che è quello della medicina di precisione, alla quale AIFA sta lavorando con un Tavolo tecnico che raccoglie le più importanti società medico scientifiche e i rappresentanti dei medici”.
Fonte:
https://www.iss.it/-/primi-risultati-del-progetto-interceptor-i-biomarcatori-per-predire-la-demenza
Tratto da: Farmacista33, 18 febbraio 2025