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Diabete di tipo 1, chetoacidosi ricorrente può aumentare il rischio di decesso

Nei pazienti affetti da diabete di tipo 1, episodi ricorrenti di chetoacidosi diabetica potrebbero essere correlati a un aumento sostanziale del rischio di decesso. A suggerire questa pericolosa associazione è uno studio di coorte retrospettivo pubblicato di recente sulla rivista Diabetologia.

Infatti, dall’analisi dei dati è emerso che i pazienti ricoverati una volta sola per una chetoacidosi diabetica durante il periodo preso in considerazione per lo studio avevano un rischio di morte del 5,2%, a fronte di un rischio del 23,4% nei pazienti ospedalizzati più di cinque volte per questa grave complicanza metabolica (HR 6,18; P = 0.001).

I pazienti che erano stati ricoverati ripetutamente per una chetoacidosi diabetica erano tendenzialmente più giovani, più poveri e avevano livelli di emoglobina glicata più alti rispetto a quelli che avevano dovuto essere ricoverati una volta sola.

“La principale implicazione dello studio è che abbiamo identificato un rischio significativo di decesso nei pazienti con chetoacidosi diabetica ricorrente, molti dei quali sono giovani” ha detto il primo firmatario dello studio, Fraser Gibb, del Royal Infirmary di Edimburgo, in un’intervista. “Alla luce di questo, c’è bisogno di evidenze per mettere a punto strategie che aiutino a prevenire la mortalità in questo gruppo a rischio” ha aggiunto l’autore.

I decessi si sono verificati quasi sempre a casa piuttosto che in ospedale. “In linea con quanto osservato in altre coorti, abbiamo trovato un basso tasso di mortalità ospedaliera nei pazienti con chetoacidosi diabetica. Tuttavia, la frequenza della morte improvvisa successiva, a casa, in particolare nei giovani, è risultata inaccettabilmente elevata” scrivono i ricercatori.

Gibb e i colleghi nel loro articolo non riportano le cause di morte, se non il fatto che 19 dei 44 decessi erano avvenuti per una causa incerta, inaspettata, ed erano “potenzialmente attribuibili a uno scompenso metabolico acuto”.

Per il loro studio, gli autori hanno analizzato tutti i ricoveri per cheotacidosi diabetica di pazienti con diabete di tipo 1 avvenuti nel Royal Infirmary di Edimburgpo dal 2007 al 2012, scoprendo che nel periodo considerato c’erano state 628 ammissioni di 298 pazienti. Circa la metà dei pazienti erano uomini (55%) e l'età media al momento della presentazione era di 28 anni.

I ricercatori hanno quindi stratificato questi pazienti in tre gruppi in base al numero totale di ricoveri per cheotacidosi diabetica: un solo ricovero (96 pazienti), da due a cinque ricoveri (111 pazienti) e più di cinque ricoveri (64 pazienti). Hanno poi ricavato i dati biochimici, clinici e di mortalità dalle cartelle cliniche elettroniche dei pazienti e dai database nazionali. Il follow-up è continuato fino alla fine del 2014.

Rispetto ai pazienti ricoverati una volta sola, quelli con ricoveri ricorrenti (più di cinque accessi) avevano le seguenti caratteristiche: erano più giovani al momento della diagnosi (mediana 14 anni contro 24 anni; P < 0,001), erano in una situazione di maggior disagio sociale (Scottish Index of Multiple Deprivation rank 1825 contro 2723; P = 0.005), avevano livelli più alti di emoglobina glicata (11,6% contro 9,4%; P < 0,001) ed erano tendenzialmente più giovani (età mediana 25 anni contro 31; P = 0,079).

Inoltre, quasi la metà (47,5%) dei pazienti con chetoacidosi diabetica ricorrente aveva assunto antidepressivi contro il 12,6% di quelli ricoverati una volta sola per la complicanza (P = 0,001) e il consumo di antidepressivi è risultato associato a un trend verso un rischio maggiore di mortalità (HR 2,24; IC al 95% 0,99-5,12; P = 0,055). Inoltre, il 13% dei pazienti con chetoacidosi diabetica ricorrente era stato ricoverato in ospedale per cure psichiatriche contro solo il 4% di quelli ricoverati una sola volta per la chetoacidosi diabetica (P = 0,092).

“Le persone che soffrono di depressione e hanno altri problemi di salute mentale probabilmente sono più predisposte alla chetoacidosi diabetica perché in questa situazione è più probabile che i pazienti non prendano l’insulina. Credo che questo spieghi completamente il legame con gli antidepressivi” ha detto Gibb.

Tra i limiti dello studio i ricercatori citano il disegno monocentrico, che “lascia aperta la questione della generalizzabilità di questi risultati”.

“Avendo evidenziato un rischio significativo di mortalità associato alla chetoacidosi diabetica ricorrente, ora è importante verificare questi risultati, idealmente attraverso i dati dei registri nazionali. I pazienti ai quali il diabete viene diagnosticato durante l’adolescenza e quelli con problemi di salute mentale sembrano essere a rischio particolarmente elevato di chetoacidosi diabetica ricorrente e occorre fare sforzi per sviluppare strategie di sostegno efficaci” concludono i ricercatori.

FW Gibb, et al. Risk of death following admission to a U.K. hospital with diabetic ketoacidosis. Diabetologia 2016; doi: 10.1007/s00125-016-4034-0.

Tratto da: Pharmastar, 01 agosto 2016