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Città e diabete: quando l’urbanistica migliora salute

La prevenzione al diabete passa anche da una più attenta progettazione degli spazi urbani. Per questo esperti di salute pubblica e urbanisti lavorano a braccetto nelle città che aderiscono al progetto Cities Changing Diabetes. Nel 2017 tocca a Roma.

Urbanisti ed esperti di salute pubblica hanno un compito in comune: trasformare le città in “palestre” di salute.  Incrociando i numeri delle statistiche sulle malattie più diffuse e i luoghi più abitati del pianeta, salta immediatamente all’occhio un dato che fa riflettere: oggi vivono nel mondo 415 milioni di persone con diabete, due terzi delle quali risiedono nelle città. E in futuro, secondo l’International Diabetes Federation (Idf), si stima un aumento del 50 per cento sino a 642 milioni tra 25 anni. Aggiungiamo al quadro un altro tassello: negli ultimi 40 anni l’obesità è cresciuta del 600 per cento, dai 105 milioni di obesi nel 1975 ai 640 milioni di oggi, senza dimenticare il progressivo invecchiamento della popolazione. «Sono semplici dati - spiega Andrea Lenzi, Presidente del Comitato di Biosicurezza, Biotecnologie e Scienze della Vita della Presidenza del Consiglio dei Ministri e Presidente dell’Health City Institute - che sottolineano come uno dei fattori che gli amministratori di una città, oggi, devono affrontare sia il tema dei determinati della salute».

All’argomento è dedicato il nuovo numero della rivista Health Policy in Non Communicable Diseases, edita da Italian Barometer Diabetes Observatory Foundation, dal titolo “Healthy Cities - I determinanti della salute in città”.

Che l’urbanistica e la salute dovessero procedere a braccetto era stato già intuito nel 2015 quando 193 stati membri delle Nazioni Unite avevano identificato come Sustainable Development Goal (Sdg) 11 il seguente obiettivo: rendere la città inclusiva, sicura, sostenibile e capace di affrontare il cambiamento. Lavorando sullo sviluppo abitativo, la qualità dell’aria, la buona alimentazione e il trasporto.

«La prevalenza e alta densità della popolazione nelle metropoli - dichiara  Walter Ricciardi, Presidente dell’Istituto superiore di sanità e Editor in chief di Health Policy in Non Communicable Diseases - la complessità dei fattori di rischio che influenzano la salute, l’impatto delle disuguaglianze sulla salute, l’impatto sociale ed economico sono temi da affrontare e discutere, per agire concretamente sui determinanti della salute. Le città oggi non sono solo motori economici per i Paesi, ma sono centri di innovazione e sono chiamate anche a gestire e rispondere alle drammatiche transizioni demografiche ed epidemiologiche in atto».

Già al lavoro per ottenere città più salutari sono gli esperti di Cities Changing Diabetes, l’iniziativa realizzata in collaborazione tra University College London (Ucl) e il danese Steno Diabetes Center, con il contributo dell’azienda farmaceutica Novo Nordisk. Il loro compito è individuare le aree di vulnerabilità, i bisogni insoddisfatti delle persone con diabete e identificare le politiche di prevenzione più adatte e come migliorare la rete di assistenza.

La lista delle città che hanno già aderito è lunga: Città del Messico, Copenaghen, Houston, Shanghai, Tianjin, Vancouver, Johannesburg.  Roma è la metropoli scelta per il 2017.

«Non è possibile agire sui determinanti della salute e del benessere senza la compartecipazione dei diversi interlocutori che possono avere un’influenza sulla nascita e lo sviluppo delle città. Solo con un approccio multisettoriale ciascuna delle parti interessate, pur con diversi obiettivi, unendosi può fungere da catalizzatore per il miglioramento, poiché la condivisione delle idee può moltiplicare gli effetti positivi sulla salute e creare la conoscenza collettiva”, sostiene Arpana Verma, Direttore della Division of Population Health, Health Services Research and Primary Care della University of Manchesternel suo editoriale sulla rivista - La salute non è solo assenza di malattia – conclude. Il benessere e la qualità di vita devono essere considerati diritti umani basilari».

Tratto da: Healthdesk, 14 aprile 2017