Il segreto per mantenere giovane il cervello? Non aver paura di invecchiare
Chi guarda positivamente all’avanzare degli anni riduce il rischio di demenza
I capelli bianchi non preoccupano, le rughe non sono un problema e i dolori articolari non spaventano. La vecchiaia non è una tragedia, anzi può avere i suoi lati positivi. Chi la pensa così è meno esposto al rischio di demenza anche quando esiste una predisposizione genetica. A dimostrarlo è uno studio appena pubblicato su PlosOne condotto su circa 5mila persone con un’età media di 72 anni e senza segni di demenza all’inizio dello studio.
Tutti i partecipanti sono stati invitati a fornire la loro opinione sull’invecchiamento compilando il questionario “Attitude toward Aging (Ata)” che proponeva di valutare con un punteggio il grado di condivisione di affermazioni del tipo: “più invecchio e meno mi sento utile”.
I risultati sono stati confrontati con l’insorgere del declino cognitivo negli anni successivi. Ebbene, l’impatto del pensiero positivo sulla terza età è andato al di là di ogni aspettativa. In tutto il campione analizzato la buona reputazione della vecchiaia ha ridotto del 43 per cento il rischio di sviluppare demenza nel corso dei successivi 4 anni. Ma non è tutto: le persone che possedevano il fattore genetico predittivo della demenza, la apolipoproteina E (APOE ε4), ed erano bendisposti nei confronti del passare del tempo guadagnavano una riduzione del 50 per cento di probabilità di subire danni nell’attività cerebrale rispetto alle persone con le stesse caratteristiche genetiche ma un atteggiamento più pessimista.
I ricercatori non nascondo la loro sorpresa di fronte a questa scoperta.
«Abbiamo trovato che le idee positive riguardo all’età avanzata possono ridurre il rischio provocato da uno dei fattori genetici di rischio più confermati per la demenza - ha dichiarato Becca Levy, professore di salute pubblica e di psicologia della Yale School of Public Health - E tutto ciò spinge a realizzare campagne sulla salute pubblica contro la discriminazione nei confronti degli anziani».
Gran parte delle convinzioni personali sull’invecchiamento, l’accettazione o meno degli anni che passano e delle conseguenze sul corpo e sulla mente, dipendono dalle idee che circolano nella società in cui si vive. Nel 1969 il gerontologo Robert N. Butler aveva coniato il termine “ageism” per indicare l’atteggiamento discriminatorio nei confronti delle persone dai capelli bianchi. Il culto della gioventù, della prestanza fisica e mentale, della pelle senza rughe e del tempo che si ferma è una deleteria fonte di stress capace di compromettere la salute del cervello. Chi casca in questa trappola e non accetta di invecchiare avrà maggiori rischi di soffrire di demenza rispetto a chi invece accetta serenamente l’avanzare degli anni.
«I risultati di questo studio - concludono gli autori - suggeriscono che le credenze positive sull’età dell’età, che sono modificabili e si sono dimostrate capaci di ridurre lo stress, possono agire come un fattore protettivo, anche per gli individui più anziani ad alto rischio di demenza».
Tratto da: Healthdesk, 23 febbraio 2018