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Diabete di tipo 1: un futuro migliore č possibile grazie al pancreas artificiale

Un sistema a circuito chiuso per il rilascio automatico di insulina potrebbe migliorare il controllo glicemico nei pazienti affetti da diabete di tipo 1. In uno studio pubblicato su New England Journal of Medicine, Sue Brown, della University of Virginia negli Stati Uniti, e colleghi hanno dimostrato che rispetto a una pompa potenziata dal sensore, l'uso del cosiddetto "pancreas artificiale" per 6 mesi è associato a una maggior percentuale di tempo trascorso dai pazienti in un intervallo glicemico target. In particolare, 168 individui con diabete di tipo 1 (14-71 anni) sono stati randomizzati all'utilizzo di una pompa potenziata dal sensore (n=56, gruppo controllo) o a quello di un sistema a circuito chiuso (n=112), un tipo di sistema all-in-one attualmente in revisione dalla Food and Drug Administration (FDA) che utilizza un dispositivo di monitoraggio continuo del glucosio e che rilascia automaticamente insulina tramite una pompa. Nel corso di 6 mesi, il tempo medio trascorso nell'intervallo di glicemia target è aumentato da 61% a 71% nel gruppo che ha utilizzato il sistema a circuito chiuso, mentre è rimasto invariato a 59% nel gruppo controllo. Una differenza di 11 punti percentuali pari a 2,6 di ore in più al girono. Inoltre, risultati riguardo la percentuale di tempo trascorso con livelli di glucosio >180 mg/dL, <70 mg/dL o <54 mg/dL e i livelli di emoglobina glicata hanno favorito il gruppo che ha utilizzato il pancreas artificiale. Per Daniela Bruttomesso, dell'Università degli studi di Padova, i risultati sono notevoli e clinicamente rilevanti. «È stato dimostrato che per ogni riduzione del 10% del tempo trascorso nell'intervallo target del glucosio, il rischio di sviluppo o progressione di retinopatia aumenta del 64% e il rischio di sviluppo di microalbuminuria del 40%» ha osservato in un editoriale correlato. È da notare però che ci sono una serie di ostacoli all'uso di sistemi a circuito chiuso completamente automatizzati, come il lento assorbimento sottocutaneo di insulina o un'accuratezza insufficiente del sensore. Inoltre restano da stabilire il rapporto costi-benefici, il possibile uso da parte di pazienti ad alto rischio e altri aspetti. «Non ci siamo ancora arrivati, ma questo studio è un grande passo verso un futuro più luminoso per i pazienti» ha affermato Bruttomesso commentando i sistemi di prima generazione. «È chiaro che i pazienti apprezzerebbero indossare dispositivi che richiedono un'interazione minima, portando a uno stile di vita più spensierato» ha concluso.

N Engl J Med. 2019 Oct 31;381(18):1707-1717. doi: 10.1056/NEJMoa1907863.

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/31618560

N Engl J Med. 2019 Oct 31;381(18):1774-1775. doi: 10.1056/NEJMe1912822.

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/31618534

Tratto da: Diabetologia33, 113 novembre 2019