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Malattie croniche, la presenza di grasso bruno si associa a una riduzione del rischio

Da uno studio pubblicato su Nature Medicine emerge un'associazione inversa tra quantità rilevabili di grasso bruno e rischio di patologie cardiache e metaboliche che vanno dal diabete di tipo 2 alla malattia coronarica. «A differenza di quello bianco che immagazzina calorie, il grasso bruno brucia energia e potrebbe essere la chiave di nuovi trattamenti per l'obesità» afferma Paul Cohen, coautore dell'articolo e ricercatore al Rockefeller University Hospital, sottolineando che non è chiaro se le persone con quantità rilevanti di grasso bruno godano davvero di un migliore stato di salute.

Sebbene il grasso bruno sia stato studiato per decenni nei neonati e negli animali, solo nel 2009 gli scienziati lo hanno trovato anche in alcuni adulti, di solito annidato intorno a collo e spalle. Ma studiarlo su larga scala non è facile: il tessuto è visibile solo alle scansioni Pet, troppo costose e radioemittenti per le persone sane. Da qui l'alternativa: molte migliaia di pazienti dello Sloan Kettering Cancer Center (Skcc) si sottopongono ogni anno a scansioni Pet per valutazioni oncologiche. E quando i radiologi rilevano il grasso bruno, ne prendono nota per evitare false diagnosi di cancro. Così, in collaborazione con Skcc, gli autori hanno esaminato 130.000 scansioni Pet eseguite su oltre 52.000 pazienti, riscontrando grasso bruno in quasi il 10% dei casi. Da qui la scoperta: solo il 4,6% del gruppo grasso bruno aveva un diabete tipo 2 rispetto al 9,5% di chi era privo di questo tipo di tessuto adiposo. Allo stesso modo, le percentuali di colesterolo fuori norma erano rispettivamente 18,9% e 22,2%. Inoltre, lo studio ha rivelato altre tre condizioni il cui rischio è ridotto nelle persone con grasso bruno: ipertensione, insufficienza cardiaca congestizia e malattia coronarica.

«Stiamo pensando che questo tessuto faccia di più che consumare glucosio e bruciare calorie, partecipando forse alla segnalazione ormonale ad altri organi» scrivono gli autori, che prevedono di approfondire la biologia del grasso bruno anche cercando varianti genetiche che potrebbero spiegare perché alcune persone ne hanno più di altre.

Nature Medicine 2021. Doi: 10.1038/s41591-020-1126-7

http://doi.org/10.1038/s41591-020-1126-7

Tratto da: Nutrizione33, 16 gennaio 2021