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Farmaci per il diabete che fanno bene al cuore. Il punto al Convegno nazionale Amd

Da quando nel 2015 per la prima volta al congresso Easd (European association for the study of the diabetes) lo studio Empa-reg Outcome ha dimostrato che un farmaco anti-iperglicemizzante era in grado di prevenire gli eventi cardiovascolari è cambiata la storia del trattamento del diabete di tipo 2 e sono state modificate le varie linee guida, fino alla recente approvazione da parte dell'Ema (European Medicines Agency) di un Sglt-2 inibitore nel trattamento dell'insufficienza cardiaca a frazione d'eiezione ridotta (HFrEF) anche in soggetti non diabetici. Così Concetta Suraci, coordinatore del gruppo a progetto "Diabete e Inpatient" di Amd (Associazione medici diabetologi), ha introdotto - come co-moderatrice insieme a Roberta Celleno, specialista ambulatoriale Diabetologia Usl Umbria 1 di Perugia - il simposio Amd-Sid (Società italiana di diabetologia) "I farmaci anti-iperglicemizzanti a protezione del cuore", che si è svolto nel corso del X Convegno nazionale Amd, tenutosi in forma virtuale dal 18 al 20 febbraio scorsi.

«Nonostante le nuove molecole abbiano introdotto importanti novità, la metformina ei cosiddetti "vecchi farmaci" sono ancora ampiamente utilizzati» ha detto Marcello Monesi, dirigente medico dell'Unità complessa di Diabetologia territoriale dell'Asl di Ferrara, il quale ha passato in rassegna le evidenze cliniche disponibili. «Già nello studio Ukpds metformina aveva mostrato protezione rispetto all'infarto del miocardico e alla morte per tutte le cause, dati confermati al follow-up a 10 anni». Monesi cita tra l'altro uno studio retrospettivo giapponese del 2020 in pazienti con sindrome coronarica seguiti per 5 anni: è emerso che la curva di sopravvivenza dei diabetici trattati con metformina era del tutto sovrapponibile a quello dei pazienti non diabetici rispetto ai non trattati con metformina. Altri studi (come la Halabi Metanalysis del 2020) concordano sulla dimostrazione che metformina riduce la mortalità in pazienti con HFpEF. «Da vari studi di base è noto che metformina ha un effetto antiaterogeno, antitrombotico, di miglioramento dell'assetto lipidico e molte altre azioni cardioprotettive». Più controversi i dati relativi a pioglitazone in termini di protezione cardiovascolare, come emerge da vari studi, a partire dal Proactive, ma «a parte le legittime cautele peri pazienti con scompenso cardiaco, è una molecola che riveste ancora motivi di interesse» afferma Monesi. Su acarbose si hanno pochi dati. «L'insulina mostra un effetto neutro, ovvero non causa benefici ma neanche danni, ed è quindi da considerarsi utile» specifica Monesi. Le sulfaniluree, infine, da recenti metanalisi, mostrano un incremento della mortalità per tutte le cause dell'11% rispetto ai comparatori.

Fabio Baccetti, dirigente medico dell'Unità operativa semplice di Diabetologia di Massa-Carrara, ha analizzato la sicurezza cardiovascolare degli inibitori della dipeptidil peptidasi (Dpp-4), considerando due grandi aspetti clinici: la malattia cardiovascolare e lo scompenso. Dopo avere illustrato molte evidenze, spesso complesse e conflittuali, Baccetti conclude che «per quanto riguarda la malattia cardiovascolare le gliptine sicuramente sono sicure e certamente offrono prevenzione cardiovascolare in aggiunta alla sulfanilurea e insulina, oltre alla metformima. Riguardo allo scompenso cardiaco vi è invece aumento del rischio. Il meccanismo patogenetico è noto: i Dpp-4 aumentanoi livelli di sostanza P e Peptide Y, controbilanciato dall'aumento della sodiuria, con aumento dell'attività simpatico. Non si è però ancora capito se l'aumento di rischio di scompenso cardiaco con l'uso delle gliptine stia nei pazienti che già di per sé hanno un basso o elevato rischio cardiovascolare oppure che hanno un pregresso episodio di scompenso cardiaco o meno.

Sugli Sglt-2 inibitori si è soffermato Enrico Pergolizzi, dirigente medico presso la Struttura semplice di Diabetologia e Medicina interna della Asl Torino 3 (sede di Pinerolo) e coordinatore del "Gruppo comunicazione Amd", che ha illustrato la rapida modificazione degli algoritmi di trattamento da parte di tutte le società scientifiche in questi ultimi anni, dove il filo rosso è costituito dall'inserimento immediato, dopo metformina ed esercizio fisico, di gliflozine e Glp1-Ra a scopo preventivo cardiaco, renale e del danno d'organo in generale. «Gli inibitori Sglt-2 hanno un'azione protettiva sul rischio di eventi cardiovascolari nei pazienti con Dm2, con una certa eterogeneità delle diverse molecole nell'ambito della stessa classe» precisa. «Hanno dimostrato di ridurre il rischio di morte Cv, Mace e l'incidenza e la progressione della nefropatia. Hanno dimostrato, soprattutto, di ridurre in modo significativo il rischio di scompenso cardiaco, indipendentemente dalla presenza di un noto evento Cv» aggiunge. «Questi dati» sottolinea «sono alla base delle ultime linee guida internazionali che danno priorità all'uso degli inibitori di Sglt2, indipendentemente dal grado di compenso glicemico, nei pazienti con Dm2 ad alto rischio. La stratificazione del rischio» ricorda infine Pergolizzi «è fondamentale per la scelta del trattamento che potrà modificare la storia naturale della malattia».

L'ultima relazione del simposio, tenuta da Nadia Aricò, Unità complessa di Diabetologia ed Endocrinologia del Grande Ospedale metropolitano di Reggio Calabria, ha riguardato i Glp1-Ra. «Questi ultimi hanno un'alta efficacia in termini di controllo metabolico (non soltanto come calo di HbA1c, ma anche per la riduzione della variabilità glicemica e per la buona durability)». Inoltre, sottolinea, non danno ipoglicemia e presentano importanti benefici addizionali (aiutano nel controllo del peso corporeo del paziente, nella gestione della pressione arteriosa e nel controllo dell'assetto lipidico. Soprattutto, afferma, «i Cardiovascular outcome trials (Cvots), disegnati per assicurare la sicurezza cardiovascolare, hanno dimostrato che i Glp-1Ra riducono la morbilità e la mortalità cardiovascolare». Ovviamente una terapia è efficace se assunta «e i Glp1-Ra hanno un buon profilo di aderenza terapeutica» conclude Aricò.

Tratto da: Diabetologia33, Arturo Zenorini, 10 marzo 2021