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Misurare la «pancetta» per scoprire la sindrome metabolica

Se la circonferenza addominale è più ampia del dovuto è probabile che siano sballati alcuni indicatori (glicemia, trigliceridi, pressione) che incidono sulla salute di cuore e vasi. L’effetto del grasso viscerale sul funzionamento degli organi.

Basterebbe un metro da sarta. Misurarsi il girovita è facilissimo e tutti dovremmo farlo, perché il risultato parla della nostra salute, presente e futura, più di tanti altri test complicati o dispendiosi: una circonferenza addominale abbondante, infatti, è il primo e più importante indizio della sindrome metabolica.

Se ne parla poco, per anni c’è stata pure discussione se fosse da considerarsi una malattia: oggi però c’è finalmente consenso sulla sua definizione e soprattutto accordo sulle gravi responsabilità di questo mix esplosivo di fattori di rischio alterati. La sindrome infatti è una condizione complessa, in cui non solo uno, ma diversi parametri metabolici sono sballati: la glicemia, i trigliceridi e la pressione sono più alti del normale, il colesterolo buono è troppo basso, il girovita è largo. Proprio l’obesità viscerale, quindi la circonferenza addominale, è l’elemento cardine, oltre che l’unico chiaramente visibile mentre gli altri vanno cercati con le analisi del sangue o la misurazione della pressione. Di solito infatti la sindrome metabolica inizia in sordina, con uno solo dei parametri di rischio che peggiora senza che ce ne accorgiamo; poi si aggiungono gli altri, ma l’unico segno esterno è appunto la «pancetta».

Infiammazione

Come spiega Agostino Consoli, presidente della Società Italiana di Diabetologia, «Pare proprio che a scatenare la sindrome sia l’accumulo di grasso dove non deve stare, ovvero attorno agli organi interni come fegato, pancreas, intestino: il tessuto adiposo viscerale infatti produce sostanze pro-infiammatorie che a loro volta richiamano cellule infiammatorie. Il risultato è il cosiddetto inflammosoma, un mix di cellule e molecole che portano a un’infiammazione di basso grado ma cronica, negativa per i vasi sanguigni (nei quali favorisce l’aterosclerosi, ndr) e per il pancreas, che diventa meno capace di produrre l’insulina, l’ormone necessario a gestire il glucosio in circolo. L’infiammazione inoltre peggiora o scatena la resistenza all’insulina: i tessuti e le cellule rispondono meno all’ormone, aprendo la strada all’incremento della glicemia e in ultima analisi allo sviluppo del diabete di tipo 2. Tutto nasce dall’obesità centrale, perciò misurare il girovita è il modo più veloce ed economico per capire se ci stiamo avviando sulla strada della sindrome metabolica». Donne e falsi magri

La pancetta tende ad accumularsi con gli anni e nelle donne compare spesso con la menopausa, anche in chi ha sempre avuto il girovita sottile: gli estrogeni infatti aiutano a depositare il grasso in eccesso sui fianchi, dove non fa male, ma quando iniziano a scarseggiare l’adipe finisce sulla pancia e si tende alla pericolosa forma «a mela». Da tutto ciò deriva che pesarsi non basta: l’indice di massa corporea che si usa comunemente per sapere se si è sovrappeso, ottenuto dividendo il peso in chili per il quadrato dell’altezza in metri, non dice molto su dove sia il grasso. Perché pure i falsi magri, con gambe sottili e pancia abbondante, rischiano la sindrome metabolica e le sue tante conseguenze negative, come sottolinea Ciro Indolfi, presidente della Società Italiana di Cardiologia: «La sindrome è la confluenza non casuale di diversi fattori di rischio cardiovascolare, che manifestandosi contemporaneamente si associano a una maggior probabilità di diabete, ma soprattutto di infarti e ictus: il pericolo è doppio rispetto a chi non ha la sindrome, perché i vari elementi che la compongono favoriscono la formazione di placche aterosclerotiche e ne facilitano anche l’instabilità, quindi il distacco di trombi».

Rischi connessi

La sindrome metabolica predispone anche ad alcuni tumori fra cui mammella, prostata, ovaio, pancreas, fegato e rene; è stata associata a malattie come la sindrome dell’ovaio policistico e alla demenza; in più anche il fegato ne risente, perché oltre a dover far fronte a un eccesso di grassi e zucchero dalla dieta riceve tante molecole infiammatorie dall’adipe viscerale, che non riesce a gestire in maniera efficiente. Perde così la sua capacità di regolatore metabolico, accumula esso stesso grasso e si sviluppa la steatosi, il fegato grasso che è l’espressione epatica della sindrome metabolica; tutto questo innesca un circolo vizioso che perpetua la sindrome e ne amplifica le ripercussioni negative su tutto l’organismo. La sindrome metabolica insomma è una mina vagante, soprattutto considerando che nel mondo occidentale «Si stima ne soffra più del 35 per cento degli ultracinquantenni, con una maggior prevalenza fra le donne», precisa Indolfi. «L’obesità è in aumento, il diabete pure e quindi lo è anche la sindrome metabolica: conoscerla e combatterla è perciò indispensabile.

Prevenzione

L’intervento più efficace è senza dubbio la prevenzione, che si basa su un’alimentazione corretta, ricca di vegetali e povera di grassi saturi e zuccheri semplici, e sull’attività fisica costante, con almeno 150 minuti di esercizio aerobico moderato o intenso alla settimana. Fin dall’infanzia, perché purtroppo non riguarda più soltanto gli adulti». Una volta diagnosticata la sindrome metabolica, risolverla è necessario ma non c’è un farmaco risolutivo, occorre intervenire su ciascun fattore di rischio singolarmente e par di più non ci sono, per esempio, medicinali in grado di «curare» il colesterolo Hdl troppo basso. «Perdere peso resta però il fulcro di tutte le terapie», puntualizza Consoli. «Eliminare il grasso viscerale non è facile e non abbiamo strumenti certamente in grado di privilegiare una riduzione localizzata all’addome, ma dimagrire è un passo indispensabile, sempre».

Tratto da: Corriere della Sera Salute, Elena Meli, 16 aprile 2021