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Frenare l'Alzheimer grazie ai neuroni su microchip

Neuroni su microchip da impiantare nel cervello per ripristinare le connessioni cerebrali interrotte dall’Alzheimer. La soluzione sembra avveniristica e invece è già una concreta possibilità. Nel corso del prossimo congresso SIN-DEM (Firenze, 25 -27 novembre) verrà infatti presentato un prototipo di neurone artificiale su microchip già testato in laboratorio e in vivo sui topi. Si tratta di un dispositivo analogico che riceve e trasmette informazioni elettriche come i neuroni umani, ma non può essere comandato dall’esterno. Per ora ha le dimensioni di un ‘quadratino’ di 5 mm2, ma in un prossimo futuro potrà avere il diametro di un capello ed essere impiantato in aree del cervello umano danneggiate in modo da ripristinare almeno in parte le comunicazioni fra cellule e quindi la funzionalità cognitiva. Le prospettive future di questo dispositivo, che svolge le funzioni di un bypass sinaptico facendo da “ponte” tra le reti interrotte o danneggiate, saranno discusse il prossimo 25 novembre in una sezione del congresso SIN-DEM promossa dall’Associazione per la Ricerca sulle Demenze Onlus.

«I neuroni su chip sono già una realtà. A oggi questi neuroni artificiali sono stati testati in vitro, su neuroni in coltura, e in vivo, su ratti nei quali sono stati impiantati in aree critiche come l’ippocampo, una zona del cervello fondamentale per i processi di memoria, la cui funzionalità viene meno in caso di malattie neurodegenerative come l’Alzheimer. Gli esperimenti condotti finora hanno dimostrato che questi neuroni di silicio (quindi artificiali) si comportano come quelli biologici: rispondono cioè alle variazioni delle correnti elettriche cerebrali, il mezzo con cui ‘dialogano’ i neuroni, e possono trasmettere ad altri neuroni queste informazioni sotto forma di impulsi elettrici», spiega Claude Kanah, docente e ricercatore di informatica e cibernetica.

I test finora condotti sugli animali mostrano che questi neuroni a stato solido (Solid State Neuron, o SSN) rispondono agli stimoli in maniera quasi identica ai neuroni biologici. I neuroni bionici, inoltre, hanno bisogno di pochissima potenza per funzionare, appena 140 nanoWatt ovvero circa un miliardesimo del fabbisogno energetico di un microprocessore standard.

«Inoltre si tratta di sistemi che lavorano con una tecnologia analogica e quindi continua, non binaria come il digitale: tutti i sistemi biologici si basano su processi continui e aver scelto questa strategia significa poter mimare il comportamento di un neurone biologico con maggiore accuratezza. Oggi sappiamo che questi processori neuromorfici possono dialogare con i neuroni biologici perché ‘parlano’ la stessa lingua, fatta di segnali elettrici; il prossimo passo sarà provarli per esempio su topolini che, modificati geneticamente, sviluppano l’Alzheimer, per capire se e come possano vicariare le funzioni dei neuroni danneggiati, consentendo performance di memoria migliori», osserva Claudio Mariani, presidente ARD Onlus, già professore di neurologia all’Ospedale Sacco di Milano.

L’altra buona notizia è che questi neuroni bionici potrebbero essere disponibili per le persone affette da demenza molto prima di quanto si possa immaginare.

“Vista la velocità degli avanzamenti nelle scienze cibernetiche, che evolvono per il quadrato del tempo è plausibile che entro i prossimi cinque-dieci anni avremo non solo un neurone artificiale funzionante una volta innestato nel cervello umano, ma perfino reti di neuroni artificiali che potranno essere impiantate per esempio in aree colpite dalle placche amiloidi dell’Alzheimer o da altre patologie degenerative, per lavorare in parallelo con i circuiti rimasti e aiutare i neuroni biologici a continuare a svolgere i loro compiti», conclude Leonardo Pantoni, vicepresidente ARD, Onlus direttore dell’Unità Complessa di Neurologia dell’Ospedale Luigi Sacco di Milano e professore di Neurologia dell’Università degli Studi di Milano.

Tratto da: Healthdesk, 24 novembre 2021