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Ictus, arriva in età più avanzata e si cura sempre meglio

Buone notizie, soprattutto per le forme di natura ischemica. Aumentano le opportunità terapeutiche e si riducono mortalità ed esiti a distanza. Fondamentale arrivare presto al pronto soccorso, senza perdere tempo.

L'ictus cerebrale, mediamente, si manifesta sempre più avanti negli anni.   Sia negli uomini che nelle donne. E, soprattutto, si cura sempre meglio nella maggior parte dei casi, con esiti meno pesanti. A patto che si arrivi rapidamente all'osservazione dei medici.

Per le forme ischemiche, negli ultimi vent'anni gli esiti a distanza della mancanza di ossigeno al cervello tendono ad essere meno pesanti, sia perché le persone sono maggiormente informate sui sintomi e quindi ricorrono prima alle cure sia perché le terapie sono profondamente migliorate, in particolare sul fronte delle opportunità di ridare sangue alle aree cerebrali sofferenti.

C'è ancora molto da fare, invece, per le forme emorragiche, che rappresentano circa il 15-20% del totale. Su questo fronte, i tassi di mortalità e gli esiti a distanza non sono migliorati in modo altrettanto significativo, in particolare per quanto riguarda le lesioni legate ad emorragia subaracnoidea.

Ad offrire queste incoraggianti notizie, ricordando come "Time is Brain" ovvero il fattore tempo è la chiave per salvaguardare tessuto cerebrale e quindi funzioni dopo l'ictus, è un originale studio giapponese pubblicato su JAMA Neurology, coordinato da Kazunori Toyoda, del National Cerebral and Cardiovascolar Center nipponico.

La ricerca ha preso il via dalle informazioni della Banca dati Japan Stroke, relative a poco più di 183.000 persone ricoverate tra il 2000 e il 2019, quindi in epoca pre-Covid. L'analisi ha permesso di osservare che, come atteso, la maggior parte dei pazienti (oltre 135.000) ha avuto un ictus ischemico (in quattro casi su dieci si trattava di donne), circa 36.000 hanno avuto un ictus emorragico mentre 11.800 hanno avuto un'emorragia subaracnoidea, con netta prevalenza della popolazione femminile (più o meno due casi su tre a carico delle donne).

Studiando i dati si è visto in primo luogo che l'età mediana di insorgenza dell'ictus si è notevolmente innalzata negli ultimi anni (siamo intorno ai 74 anni per le forme ischemiche, verso i 70 per quelle emorragiche e sui 64 anni per le emorragie subaracnoidee), ma soprattutto che negli ultimi vent'anni c'è stato un netto miglioramento della prognosi, testimoniato da valutazioni attraverso scale specifiche come la Stroke Scale dell'NIH (National Institute of Health) degli Usa. I miglioramenti in termini di esiti sono stati particolarmente incoraggianti, in entrambi i sessi, con una diminuzione degli esiti sfavorevoli e dei decessi in ospedale.

Ma questi risultati dipendono molto dal tipo di ictus: mentre ci sono state conseguenze meno pesanti per le forme ischemiche, i vantaggi sono calati negli ictus di natura emorragico: in particolare, in caso di emorragia subaracnoidea, non si è osservato lo stesso trend positivo in entrambi i sessi.

Le buone notizie, in ogni caso non mancano. Come scrivono gli esperti giapponesi "l'ictus è diventato di gravità più lieve negli ultimi 20 anni indipendentemente dal sesso o dal tipo di ictus, sebbene l'età all'esordio dell'ictus sia invecchiata nel registro nazionale degli ictus in Giappone". Ma c'è ancora molta strada da fare. Se è vero che le terapie per la riperfusione, ovvero mirate a "riaprire" i vasi bloccati in caso di ischemia restituendo rapidamente sangue ed ossigeno ai neuroni sofferenti, sono nettamente migliorate, occorre trovare nuove soluzioni per affrontare le forme emorragiche, ben più complesse da trattare.

Si dirà. Questi dati si riferiscono al Giappone, ma da noi qual è la situazione? "Ci sono due elementi da considerare: prima di tutto, per l'ictus ischemico le persone arrivano prima alle cure ed abbiamo più armi a disposizione per trattare la malattia, limitando gli esiti invalidanti nella stragrande maggioranza dei casi - segnala Massimo Del Sette, direttore della Neurologia del Policlinico San Martino di Genova. Abbiamo trattamenti sempre più efficaci, a partire dalla terapia trombolitica con farmaci (ha lo scopo di "sciogliere" il coagulo di sangue che inibisce il passaggio del sangue e quindi di ossigeno per i neuroni all'interno dell'arteria) per arrivare fino alla trombectomia meccanica, che prevede l'inserimento di uno speciale strumento, chiamato stent retriever, che raggiunge l'arteria cerebrale occlusa e ne ristabilisce la pervietà, asportando i residui di materiale che lo aveva ostruito. Per le forme di tipo emorragico, i miglioramenti sono più limitati".

Sul fronte dell'età d'insorgenza, la sensazione è che anche in Italia l'ictus arrivi in età sempre più avanzata, probabilmente anche perché le persone stanno controllando sempre meglio i fattori di rischio cardiovascolari come ipertensione, colesterolo elevato e diabete, oltre ad evitare il fumo. "Nel mondo si assiste ad un fenomeno curioso: gli ictus in termini assoluti si stanno riducendo, in alcuni Paesi aumentano gli ictus giovanili, ma, per l'ictus dell'età avanzata, si assiste sicuramente ad un progressivo innalzamento dell'età di insorgenza di queste lesioni - conclude l'esperto".

Monito finale: ricordiamoci di arrivare presto in caso di comparsa di sintomi come perdita di forza, bocca che diviene improvvisamente storta, difficoltà a parlare. In questo modo i neurologi possono affrontare al meglio la situazione, riducendo i rischi di esiti invalidanti.

Gli ictus non sono tutti uguali

Ma soprattutto, anche nel leggere i dati, teniamo presente che gli ictus non sono tutti uguali. La lesione può infatti essere causata in primo luogo dalla chiusura di un vaso arterioso e in questo caso si parla di ictus ischemico: più o meno le lesioni cerebrali hanno questa origine in quattro casi su cinque. Possono essere coinvolti tanto le grandi arterie, come ad esempio le carotidi, così come i piccoli condotti che scorrono all'interno del cranio e irrorano specifiche zone del cervello. A causare questo fenomeno possono essere trombi presenti sulla parete dei vasi o emboli trasportati dal flusso sanguigno.

L'ictus emorragico, invece si manifesta in circa il 15 per cento dei casi ed è legato alla rottura delle pareti di un'arteria che quindi perde sangue e va a comprimere il tessuto cerebrale. Tra le cause possono esserci un drastico aumento della pressione, che porta i vasi a rompersi, oppure la rottura di un aneurisma, cioè di una dilatazione patologica della parete arteriosa spesso nemmeno percepibili.

Ci sono poi casi in cui si creano le cosiddette emorragie subaracnoidee, con il sangue che si accumula tra il cervello e il suo rivestimento esterno. In questi casi, quasi sempre legati alla rottura di un aneurisma, ci sono segni abbastanza tipici come fastidio alla luce, un fortissimo mal di testa con vomito, in molti malati anche perdita di coscienza. E queste sono le forme più difficili da affrontare.

Tratto da: La Repubblica,  Federico Mereta, 20 febbraio 2022