5permille
5x1000
A te non costa nulla, per noi è importante!
C.F. 98152160176

Tenete in forma il fegato, se volete proteggere il cuore dall’infarto

Occhio alla dieta delle feste. E attenzione, più in generale, all’alimentazione ricca di calorie e lipidi. Se il fegato soffre e si riempie di grasso, anche in forma leggera, aumentano i rischi per il cuore.

"Semel in anno licet insanire". A Natale lasciamoci andare, per il cenone di Capodanno diamo spazio alla gola, ma non portiamo avanti le celebrazioni per settimane. Il fegato, alla lunga, potrebbe risentire di overdose di grassi ed alcolici che lo fanno lavorare troppo e, specie in chi è in sovrappeso o ha problemi metabolici ma non solo, potrebbe mettere a rischio il cuore. Perché anche sofferenze epatiche apparentemente leggere, che si scoprono magari per qualche piccola alterazione delle transaminasi nel sangue o dalle caratteristiche di un'ecografia, potrebbero aumentare i pericoli di cardiopatia ischemica. Anche a prescindere dalla presenza di diabete o altri problemi metabolici.

A mettere nero su bianco una realtà che interessa quasi un adulto su quattro e che è davvero importante per ricordarci di non abusare nelle feste è una ricerca coordinata da Alan Kwan, dello Smidt Heart Institute del centro Cedars-Sinai pubblicata su Frontiers in Cardiovascular Medicine. Lo studio, per la prima volta, segnala come anche leggere segnalazioni di fibrosi del fegato in persone con steatosi epatica non alcolica si associno ad anomalie nella funzione del cuore, osservabili alla risonanza magnetica.

Cosa succede al cuore se il fegato lavora male

Il legame tra benessere del fegato e salute cardiaca è molto stretto. Basti pensare che l'American Heart Association (AHA) ha recentemente segnalato come a provocare il decesso in chi soffre di steatosi epatica non alcolica siano soprattutto le patologie cardiovascolari e non le malattie del fegato. Questa indagine conferma appieno le connessioni tra il cuore e il fegato. Come ricorda nei suoi commenti lo stesso Kwan, "il fegato elabora il colesterolo e produce fattori coinvolti nella coagulazione del sangue e infiammazione, che può colpire il cuore".

La ricerca ha preso in esame le cartelle cliniche elettroniche degli ultimi 11 anni di 1.668 pazienti raggruppati valutandone i punteggi FIB-4 che indicano la presenza di fibrosi correlati con la risonanza magnetica cardiaca. Dopo aver considerato il peso di eventuali fattori di rischio cardiovascolare presente, gli esperti americani hanno visto che più di otto persone su dieci con problematiche del fegato avevano anche situazioni di pericolo del cuore. La risonanza magnetica consente infatti di identificare sottili cambiamenti nella struttura e nella funzione del cuore, nella dimensione e nella struttura dei vasi oltre che nella composizione del muscolo cardiaco. In particolare si è visto che i mutamenti vascolari si collegavano in questi soggetti ad aumento di volume delle arterie in uscita dal cuore e della quantità di sangue in circolo.

Mai dimenticare l'intero organismo

Il consiglio degli esperti è di considerare anche il fegato quando si valuta la situazione cardiovascolare. E soprattutto si ricorda quanto sia importante cercare di contrastare l'infarcimento grasso del "laboratorio" dell'organismo.

Il fenomeno è estremamente diffuso. In alcuni casi potrebbe essere presente una predisposizione genetica, visto che la presenza di particolari caratteristiche del gene responsabile dell'adiponutrina favorirebbe una forte predisposizione ad avere il fegato grasso.

Ma è soprattutto l'alimentazione ipercalorica, specie se unita alla scarsa attività fisica, a rappresentare un nemico per la salute del fegato costretto ad un superlavoro e portato a "infarcirsi" di tessuto adiposo. Per questo chi è in sovrappeso ha una probabilità molto più elevata di sviluppare il fegato grasso. Ed in questi soggetti, controllare la salute cardiaca appare fondamentale. Anche perché il fegato grasso può essere una manifestazione della sindrome metabolica, una sindrome caratterizzata da sovrappeso/obesità, diabete, ipertensione, aumento dei trigliceridi, riduzione del colesterolo buono o Hdl.

Quanto conta l'aderenza alle cure per il colesterolo elevato

Visto il ruolo del fegato nel metabolismo del colesterolo, per chi soffre di steatosi ed è a rischio cardiovascolare occorre evitare di prendere "vacanze" dal trattamento per tenere basso il colesterolo. Proprio l'aderenza alla terapia rappresenta una delle principali sfide da vincere e su questo fronte uno studio clinico multicentrico, il più ampio mai realizzato fino ad oggi su efficacia e sicurezza sui farmaci inibitori della proteina PCSK9, è stato condotto dal gruppo di ricerca guidato da Pasquale Perrone Filardi del Dipartimento di Scienze biomediche avanzate dell'Università Federico II di Napoli.

La ricerca ha dimostrato livelli di aderenza superiori al 95% nei pazienti in trattamento con i due farmaci anti-PCSK9, la proteina che blocca i recettori che catturano il colesterolo, impedendone l'accumulo nell'organismo. "Sappiamo purtroppo che con altri farmaci tradizionali, tipicamente con le statine, una larga percentuale di soggetti, fino al 50%, abbandona la terapia a un anno dalla prescrizione - commenta l'attuale Presidente della Società Italiana di Cardiologia (SIC).  Se questa terapia viene data in aggiunta alle terapie orali convenzionali, circa tre quarti dei pazienti ad alto rischio cardiovascolare riescono a raggiungere il target stabilito dalle linee guida correnti".

Tratto da: La Repubblica Salute, Federico Mereta, 22 dicembre 2022