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Rsa, serve un nuovo modello sostenibile

 

Strutture per anziani autosufficienti che non vivono più soli Scarcella: «Costerebbe meno alle famiglie e libererebbe posti»
Si vive di più. Un’affermazione che rischia di diventare ovvia, ma non se serve a sviluppare proposte e soluzioni per accogliere in modo dignitoso gli anziani che non sono più in grado di vivere nelle loro abitazioni. Anziani fragili, ma di una fragilità che non deve essere intesa come concetto filosofico, ma come incapacità di continuare a vivere senza l’aiuto degli altri.
Un’opportunità per capire quali risposte dare alle «differenti fragilità» è giunta dal convegno promosso dall’Uneba e dall’Upia (presiedute rispettivamente da Angelo Gipponi e Coriolano Moroni), le Associazioni di categoria che hanno tra gli iscritti le oltre 80 realtà non profit che gestiscono le Rsa (Residenze sanitarie assistenziali) del Bresciano e la quasi totalità in ambito territoriale lombardo attraverso i corrispondenti livelli regionali.
I bisogni aumentano
Un dato è emerso su tutti, dopo aver ascoltato le esperienze di Brescia, Mantova e Milano: i bisogni aumentano ed i fondi a disposizione non sono sufficienti per dare risposte appropriate. Vero è - come ha sottolineato la consigliera regionale Margherita Peroni presentando la ricerca Irer condotta su un campione di 149 Rsa lombarde su iniziativa della 3° Commissione del Consiglio regionale - «che oggi, in Lombardia, ci sono 646 residenze che ospitano 56mila anziani non autosufficienti. È un risultato che vogliamo mantenere e potenziare insieme agli altri servizi diurni e domiciliari di sostegno alla famiglia perché le persone fragili sono in aumento. Per questo è necessario incrementare gli oltre 800 milioni di euro che ogni anno la Regione eroga».
I finanziamenti servono, «altrimenti non è possibile assistere tutti in modo adeguato» ha detto Lucio Mastromatteo, presidente di Brescia solidale.
Molte le luci emerse, che si sono tuttavia rispecchiate in altrettante ombre legate ai tempi di attesa per entrare nelle Rsa e alle rette spesso non sostenibili dai singoli e dalle famiglie. «Negli ultimi dieci anni le domande di ricovero nelle Rsa sono passate da 504 alle attuali 3.279, con un conseguente allungamento dei tempi medi di attesa, passando dai 44 giorni di allora ai 177,96 del 2008 - ha spiegato Carmelo Scarcella, direttore generale dell’Asl di Brescia -. Tuttavia, come è noto, gli ospiti nelle Rsa vengono classificati in base alla gravità delle loro condizioni cliniche. Una valutazione che ci permette di trovare un posto in tempi brevissimi - al massimo tre giorni - alle persone più gravi e, comunque, garantiamo un’attesa massima di 90 giorni al 51,78% degli anziani».
Persone gravi, che hanno bisogno di un’assistenza sanitaria e sociale nell’arco di tutta la giornata e che al Servizio sanitario costano fino a 47,50 euro al giorno.
Sempre più gravi
Il maggior incremento di presenze nelle Rsa è avvenuto per le persone più gravi, mentre sono in diminuzione gli ospiti inseriti nelle ultime tre classi della scala di valutazione e che sono meno gravi. La risposta a questo fenomeno è fin troppo facile, ed è legata alla presenza numerosa anche nel nostro territorio delle badanti che sono in grado di accudire gli anziani a domicilio fino a quando l’aggravamento costringe al ricovero.
«Quando si parla di costi, bisogna tener conto che nelle Rsa si devono sommare sia l’aspetto sanitario sia quello assistenziale, mentre dall’analisi della situazione è emerso che le persone meno gravi potrebbero essere ospitate in strutture in cui prevale l’aspetto assistenziale rispetto al sanitario - ha detto Scarcella -. Alla cura a domicilio garantita dai medici di medicina generale e dall’assistenza domiciliare integrata si potrebbe aggiungere un’opportunità diversa in cui gli anziani possono vivere «protetti» sotto il profilo assistenziale e con le prestazioni sanitarie garantite dal Distretto dell’Asl. A questo proposito, ci sono alcuni comuni della nostra provincia che sarebbero disponibili a sperimentare una nuova formula di ospitalità per le persone anziane, a fronte dell’impossibilità di creare altre Rsa a fronte di un’offerta territoriale che supera i seimila posti letto».
Il «nuovo modello sostenibile», come lo ha definito Scarcella, potrebbe veder coinvolti i Comuni, la Banca di Credito cooperativo ed anche i privati nella realizzazione di strutture residenziali «a bassa intensità».
Nuove strutture per chi sta meglio
All’anziano, o alla sua famiglia, la retta a suo carico per vivere in un Rsa va da un minimo di 1000 ad un massimo di 2250 euro. A queste cifre, si deve aggiungere la quota sanitaria - anch’essa variabile in base alla gravità della persona - pagata dal Servizio sanitario.
«In un domicilio protetto, a bassa intensità socio-assistenziale, si può ipotizzare una retta massima di mille euro, mentre la parte sanitaria verrebbe garantita dal Distretto dell’Asl», ha concluso Scarcella.
Tratto da: Giornale di Brescia, Anna Della Moretta, 14 marzo 2010