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Statine e riduzione del rischio cardiovascolare: nuove evidenze

Uno studio pubblicato di recente ha studiato l’associazione tra riduzione dei livelli di colesterolo LDL indotta dalle statine e riduzione assoluta e relativa di esiti clinici individuali.

Non è chiara l’associazione tra riduzione del colesterolo LDL ottenuta con le statine e riduzione del rischio individuale assoluto. «Le metanalisi pubblicate dai Cholesterol Treatment Trialists (Baigent C, et al. Lancet 2005; Cholesterol Treatment Trialists' (CTT) Collaboration. Lancet 2010; Cholesterol Treatment Trialists' (CTT) Collaborators. Lancet 2012) suggeriscono una riduzione del 21% per il rischio relativo di eventi vascolari maggiori e del 10% per la mortalità» riferisce Maria Chantal Ponziani insieme ai componenti della Commissione Lipidologia e Metabolismo AME (Associazione Medici Endocrinologi) coordinata da Anna Nelva. «La scelta di un esito composito, che comprende eventi come rivascolarizzazioni e ospedalizzazioni, è un punto critico, per l’influenza di valutazioni soggettive, mentre sono meno suscettibili a bias endpoint singoli, come mortalità totale, infarto miocardico acuto (IMA) e ictus».

«In questo ambito rientra uno studio pubblicato di recente con lo scopo di studiare l’associazione tra riduzione dei livelli di colesterolo LDL indotta dalle statine e riduzione assoluta e relativa di esiti clinici individuali, quali mortalità per tutte le cause, IMA, ictus» proseguono gli esperti. «Da ricordare alcune definizioni: rischio assoluto è il rapporto tra esposti a un dato fattore di rischio che si sono ammalati e totale degli esposti; riduzione assoluta del rischio (ARR) è la differenza nel rischio assoluto di eventi tra gruppo trattato e controlli; rischio relativo è il rapporto tra la probabilità che si verifichi un evento in un gruppo esposto e la probabilità che lo stesso evento si verifichi in un gruppo di non esposti; riduzione relativa del rischio (RRR) è la riduzione assoluta del rischio divisa per il rischio assoluto nei controlli».

«Lo studio citato era una revisione sistematica e metanalisi» continuano Ponziani e colleghi. «Sono stati inseriti solo studi sull’uomo, randomizzati controllati, in inglese, pubblicati tra il 1966 e il 2021, della durata di almeno 2 anni e almeno 1000 soggetti reclutati». Questi i risultati: «studi inclusi: 21, il 33% in prevenzione primaria, il 29% in prevenzione secondaria e il 38% sia in prevenzione primaria che secondaria. La durata media degli studi inclusi è stata di 4.4 anni e il numero di partecipanti era compreso tra 1255 e 20 536. L’analisi è stata limitata a mortalità totale, IMA e ictus (escludendo le procedure interventistiche correlate all’IMA o all’ictus). È stato utilizzato il metodo GRADE per la valutazione».

Punti critici identificati negli studi selezionati: «nello studio 4D non risultava chiaro come gli autori avessero analizzato e misurato l’ictus fatale; nello studio ASPEN sono stati cambiati i criteri di inclusione dopo 2 anni; gli studi JUPITER, CARDS, AFCAPS/TexCAPS e ASCOT-LLA sono stati interrotti precocemente per elevata riduzione degli eventi nel gruppo trattato (questo può costituire un bias); tutti gli studi sono stati finanziati in parte o interamente da aziende farmaceutiche» osservano gli esperti.

«È stata effettuata anche una meta-regressione per valutare la relazione tra riduzione assoluta e relativa del rischio e riduzione del colesterolo LDL, con risultati ritenuti inconclusivi dagli autori. Aggiustando la meta-regressione per il tasso di eventi nei controlli e per la durata del follow-up, si osserva una qualche associazione tra ampiezza della riduzione del colesterolo LDL ed effetto relativo su mortalità per tutte le cause e ictus, ma non per IMA» proseguono gli specialisti. «Analogamente è stata osservata una relazione tra entità della riduzione del colesterolo LDL ed effetto assoluto del trattamento sull’ictus, ma non sulla mortalità totale e sull’IMA».

«Il risultato della metanalisi suggerisce che la riduzione assoluta del rischio della terapia con statine in termini di mortalità per tutte le cause, IMA e ictus sia modesta rispetto alla riduzione relativa del rischio, e che i risultati siano ancora più incerti per la rilevante eterogeneità» proseguono gli esperti. «Per arrivare a una decisione clinica condivisa e consapevole, gli autori sottolineano l’importanza di discutere con i pazienti la riduzione assoluta del rischio» osservano Ponziani e colleghi. «Un punto di forza della metanalisi è stato evidenziare l’eterogeneità nelle precedenti metanalisi, che potrebbe oppure no influire sulla riduzione del colesterolo LDL (ad esempio, hanno influenza tipo e dosaggio di statina, aderenza al trattamento e valori basali di colesterolo LDL; potrebbero non influire tipo di prevenzione, durata dello studio, trattamento nei controlli e definizione degli esiti). Tra i limiti, viene sottolineato che per definire il beneficio assoluto è necessario tenere conto degli eventi avversi, area controversa con marcata differenza nelle incidenze tra studi randomizzati e studi osservazionali» continuano gli esperti. «Gli autori riconoscono di avere escluso alcuni eventi importanti, come le rivascolarizzazioni e le ospedalizzazioni per angina, troppo soggette a valutazioni individuali da parte dei medici» proseguono. «Altri limiti sono l’esclusione di esiti compositi, scelta effettuata per l’assenza di una definizione univoca nei differenti studi, e l’esclusione degli studi di confronto tra statine ad alte dosi e basse dosi. Inoltre, la meta-regressione è stata effettuata su meno di 20 studi e questo potrebbe influenzare le conclusioni».

«Un punto chiave è la durata di esposizione, sia al fattore di rischio sia al trattamento. Dati della letteratura suggeriscono che l’effetto causale del colesterolo LDL sul rischio cardio-vascolare (CV) sia determinato sia dall’entità assoluta sia dall’esposizione cumulativa» riferiscono Ponziani e colleghi. «Parimenti, l’entità del beneficio della terapia aumenta con il prolungarsi dell’esposizione all’agente terapeutico. Le malattie CV sono un’importante causa di mortalità globale, per la cui prevenzione è cruciale il controllo dei fattori di rischio modificabili. Nello studio INTERHEART (Yusuf S, et al. Lancet 2004) i livelli di lipidi presentano il più alto rischio attribuibile alla popolazione» proseguono. «Gli studi di randomizzazione mendeliana hanno documentato come vi sia una riduzione del rischio coronarico > 50% per ogni mmol di riduzione del colesterolo LDL (Wang N, et al. Circ Cardiovasc Qual Outcomes 2022). Pertanto, la correzione di questo fattore di rischio rimane un nodo cruciale nella prevenzione delle malattie CV. Nella valutazione dell’efficacia del trattamento con statina devono essere tenuti in considerazione la potenza del farmaco e la durata del trattamento». «Da tutto ciò» concludono Ponziani e colleghi «deriva l’importanza di condividere con i pazienti rischi e benefici del trattamento con statine, partendo dalla stratificazione del rischio globale, dato dai fattori di rischio presenti, dalla loro gravità e dall’esposizione cumulativa al fattore di rischio stesso».

JAMA Intern Med 2022, 182: 474-81. doi: 10.1001/jamainternmed.2022.0134.

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/35285850/

Tratto da: Endocrinologia33, 27 novembre 2024