Diabete tipo 1 – Trapianto di cellule pancreatiche per la prima volta senza farmaci immunosoppressori
Una svolta storica nella ricerca sul diabete. Per la prima volta al mondo è stata dimostrata nell’uomo la possibilità di trapiantare cellule beta produttrici di insulina senza usare farmaci per bloccare l’immunosoppressione. Un passo iniziale ma cruciale verso nuove cure cellulari per il diabete.
DT1: l’ostacolo da superare
Come ben noto a chi soffre di diabete di tipo 1, il sistema immunitario attacca e distrugge le cellule beta del pancreas, responsabili della produzione dell’ormone insulina. Le attuali terapie a disposizione, come le iniezioni di insulina o il trapianto di isole pancreatiche, hanno dei limiti:
- le iniezioni insuliniche tengono il diabete sotto controllo ma non rappresentano una cura definitiva;
- il trapianto di isole pancreatiche richiede l’assunzione a vita di potenti farmaci immunosoppressori per evitare il rigetto da parte del sistema immunitario.
La capacità delle cellule di sfuggire all’attacco immunitario viene considerata dagli Esperti “il vero traguardo” (the brass ring) per una cura definitiva.
Il trapianto che segna una “prima volta” mondiale
Un risultato emozionante per la diabetologia quanto il primo passo dell’uomo sulla Luna: per la prima volta, un paziente con diabete di tipo 1 da oltre trent’anni ha ricevuto un trapianto di isole pancreatiche allogeniche (da donatore) senza dover assumere farmaci immunosoppressivi.
Le cellule, impiantate nel muscolo dell’avambraccio, hanno mostrato una limitata ma rilevabile attività funzionale, iniziando a produrre insulina. Il caso, che rappresenta una prova di principio di “immunoescape” cellulare nell’uomo, è stato descritto in un articolo pubblicato sulla prestigiosa rivista New England Journal of Medicine da un team dell’Università di Uppsala, in Svezia.
Le cellule rese “invisibili” al sistema immunitario
Le cellule rese “invisibili” al sistema immunitarioLe cellule utilizzate fanno parte della terapia sperimentale UP421: cellule pancreatiche da donatore, geneticamente modificate per sfuggire al sistema immunitario del paziente.
Per ottenere questo effetto, i ricercatori della Sana Biotechnology hanno utilizzato l’innovativo editing genetico, un approccio di ingegneria genetica che consente di apportare modifiche al DNA delle cellule, nella regione detta locus CRISPR (Clustered Regularly-Interspaced Short Palindromic Repeats). In particolare, questo approccio consente di modificare, rimuovere o aggiungere una specifica sequenza di DNA. Senza entrare in dettagli troppo tecnici, i ricercatori hanno rimosso dalle cellule due segnali chiave che scatenano la reazione di rigetto (HLA di classe I e II) e hanno aggiunto la proteina protettiva CD47, per potenziare il segnale “non attaccarmi” rivolto ai macrofagi, cellule del sistema immunitario in grado di “mangiare” e distruggere tutti i materiali considerati estranei. Questo geniale escamotage ha consentito alle cellule beta di non essere considerate estranee e quindi di sopravvivere e di funzionare senza essere distrutte.
Le cellule sono state ingegnerizzate nel laboratorio GMP di Oslo, sotto la guida della ricercatrice Hanne Scholz, grazie alla tecnologia sviluppata dall’azienda Sana Biotechnology. L’intervento clinico è stato poi condotto a Uppsala, con il professor Per-Ola Carlsson alla guida. È importante ricordare che questo approccio nasce da una lunga fase di ricerca preclinica, condotta in particolare dalla prof.ssa Sonia Schrepfer, che in studi su modelli animali aveva già dimostrato come cellule così modificate potessero sopravvivere senza essere rigettate. Nell’uomo, è la prima volta che questa strategia viene testata.
“Questo studio rappresenta un primo passo concreto verso una nuova generazione di terapie cellulari per il diabete”
Prof. Lorenzo Piemonti.
“Le cellule pancreatiche geneticamente modificate possono sopravvivere nell’uomo senza la necessità di farmaci immunosoppressori. È una prova di principio, non ancora una terapia: la quantità trapiantata era molto bassa e i livelli di insulina minimi. Ma il fatto che siano vive e non rigettate apre una prospettiva completamente nuova” sottolinea Piemonti, Direttore del Diabetes Research Institute (DRI) di Milano e Primario dell’Unità Operativa Medicina Rigenerativa e dei Trapianti dell’IRCCs Ospedale San Raffaele di Milano.
Uno studio di prova, non ancora una cura
Lo studio aveva come obiettivo principale la sicurezza del trapianto e la verifica della sopravvivenza delle cellule geneticamente modificate in un ospite immunocompetente in assenza di immunosoppressione.
- Coinvolto un solo paziente, uomo, svedese, di 42 anni;
- Impianto di una dose molto bassa di isole pancreatiche, inferiore al 10% di quella normalmente necessaria; il paziente deve infatti ancora usare l’insulina esogena;
- dopo 12 settimane, è stata rilevata una secrezione minima di C-peptide, indicativa di attività funzionale da parte delle cellule impiantate;
- riduzione del 42% dell’emoglobina glicata (HbA1c)
- ma aumento dell’80% del fabbisogno insulinico → il miglioramento del controllo glicemico è attribuito dagli Autori a una gestione terapeutica più intensiva, non al trapianto.
Le cellule sono state impiantate nell’avambraccio per ragioni tecniche: questa sede consente un monitoraggio accurato tramite imaging e – se necessario – il recupero delle cellule; peculiarità che lo rendono particolarmente idoneo negli studi clinici precoci.
Una prospettiva che cambia la ricerca
“Ridurre o eliminare l’uso di farmaci immunosoppressori è sempre stato un obiettivo chiave del trapianto cellulare” spiega la Prof.ssa Raffaella Buzzetti, Presidente della Società Italiana di Diabetologia (SID).
“Se confermato, questo approccio potrà rendere il trapianto di isole o di cellule pancreatiche una possibilità concreta per un numero molto più ampio di pazienti, migliorandone sicurezza e qualità di vita.”
Le sfide future
Nelle conclusioni dello studio, i ricercatori sottolineano la necessità di:
- nuovi studi su casistiche più ampie di pazienti;
- follow-up più lunghi, per valutare stabilità ed efficacia nel tempo;
- trasferimento dell’approccio a cellule derivate da staminali così da superare la dipendenza dai donatori e rendere la terapia riproducibile, sicura e accessibile su larga scala.
C’è ancora molto lavoro da fare, la strada è ancora lunga ma il momento è entusiasmante. Questo studio rappresenta una notevole svolta verso una cura funzionale per il diabete tipo 1.
References
Per-Ola Carlsson, Xiaomeng Hu, Hanne Scholz, et al – Survival of transplanted allogeneic beta cells with no immunosuppression. N Engl J Med 2025 Aug 4. doi: 10.1056/NEJMoa2503822. Online ahead of print.
Trapianto di isole senza immunosoppressione: passo verso la cura del diabete di tipo 1 »
Tratto da: Diabete.com, 19 agosto 2025