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Uno screening per prevenire le complicanze del diabete

La malattia se non riconosciuta e trattata con insulina, può evolvere in chetoacidosi diabetica e avere conseguenze molto gravi. La misurazione di anticorpi specifici nel sangue può far individuare i pazienti a rischio prima che insorgano i sintomi.

Il diabete di tipo 1 può insorgere a ogni età ma colpisce soprattutto bambini e adolescenti. Clinicamente, la malattia esordisce con iperglicemia, che si manifesta con sete, diuresi abbondante, dimagrimento e malessere. Se non riconosciuta e trattata tempestivamente con insulina, la malattia evolve a chetoacidosi diabetica, una complicanza che può condurre fino alla morte. La frequenza della chetoacidosi all’esordio clinico del diabete di tipo 1 è ancora elevata anche nei Paesi Europei più avanzati come l’Italia, dove nel corso degli ultimi 15 anni si è aggirata intorno 41,2%, ulteriormente cresciuta, secondo uno studio della società dei pediatri diabetologi Siedp, al 44.3% durante il recente lockdown. Prevenire la chetoacidosi è possibile, ma è necessario procedere con campagne di sensibilizzazione ed educazione che pongano al centro lo screening degli individui a rischio. Si può identificare il diabete di tipo 1 con anni di anticipo rispetto alla comparsa dei sintomi clinici attraverso la misurazione nel sangue di autoanticorpi specifici procedendo poi con programmi di educazione e assistenza alle famiglie volti ad azzerare la chetoacidosi come modalità di presentazione della malattia. Di recente alcuni programmi di screening di massa rivolti all’intera comunità di bambini e adolescenti sono stati intrapresi in alcune grandi aree internazionali, come la Baviera, la Finlandia, il Colorado etc… Anche in Italia è giunto il momento di avviare estesi programmi di screening della popolazione infantile e adolescenziale grazie a un semplice prelievo di sangue capillare. L’obiettivo della prevenzione della chetoacidosi diabetica è certamente ambizioso, ma realistico e di grande portata per la salute pubblica.

Emanuele Bosi, professore di Medicina interna, Università Vita Salute San Raffaele

Tratto da: Corriere della Sera Salute, 04 febbraio 2022