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Quando un clown diventa medico

 

Se far ridere è un’abilità che richiede intuito, sensibilità e prontezza di spirito, e non è quindi prerogativa di tutti, rallegrare, divertire e rasserenare una persona ricoverata in ospedale è una vera e propria arte.
Soprattutto quando lo “spettatore” è un bambino affetto da una malattia cronica che impone una degenza lunga e travagliata e la necessità di cure spesso invasive e dolorose. Ma perché non regalare ai piccoli pazienti qualche momento piacevole, in cui si sentano protagonisti di un sogno che li aiuti non solo a dimenticare – se pur temporaneamente - i loro problemi ma anche e soprattutto ad annientare ansie e frustrazioni? Perché non ravvivare le stanze austere ed asettiche di un ospedale con maschere e palloncini colorati, sostenere genitori provati e afflitti e insegnare al personale sanitario a non dimenticare l’importanza del rapporto e del contatto umano anche nel più impersonale e sterile atto professionale? La figura cardine che esprime non solo istituzionalmente ma anche concretamente l’operatività di questo approccio è il clown dottore: si tratta di un vero professionista che, grazie a un’adeguata preparazione psicologica e artistica, si propone ai bambini ricoverati come alter ego del loro medico, del quale, però, conserva soltanto il camice. Tutto il resto diventa fantasia, improvvisazione, ironia e illusione. E in quei pochi minuti i bambini ritrovano il gusto di ridere, scoprono la forza per accettare ma anche cercare di sconfiggere la loro malattia e si trovano al centro di un rapporto che li trasforma da soggetti passivi e inermi a liberi artefici di un gioco meraviglioso.
L’arte di far ridere si può davvero considerare una terapia.
È stato dimostrato che lo stato d’animo influenza significativamente il decorso delle malattie, soprattutto di quelle croniche. Vari studi hanno inoltre documentato che l’atto di ridere comporta un vero e proprio beneficio terapeutico, in quanto attiva i muscoli mimici della faccia, agendo favorevolmente sullo stato dell’umore, stimola la liberazione di particolari sostanze, le endorfine, che promuovono una sensazione di piacere e benessere, e aiuta a esternare le proprie tensioni ed emozioni: non è del resto un’esperienza inconsueta quella di arrivare perfino a “piangere dal ridere”. Nel caso del bambino, tuttavia, quello che interessa è l’approccio globale, finalizzato a un risultato non soltanto clinico ma anche psicologico e sociale, in termini di reinserimento nella comunità e di superamento di eventuali traumi psichici legati al ricovero. La clown-terapia, dunque, si propone come una strategia non esclusivamente medico-riabilitativa ma anche e soprattutto umana, grazie al contributo di più figure, dal pediatra all’assistente sociale, dall’insegnante che aiuta il bambino a mantenere il contatto con la sua scuola di origine al volontario e, come da ormai oltre un decennio anche in Italia, al clown. E proprio attraverso queste figure umane si riescono a ottenere i risultati migliori, in termini sia di guarigione sia si miglior accettazione delle cure.
I clown-dottori  possono trasformare almeno in parte i veri dottori in clown?
Al di là della storiografia cinematografica, Patch Adams, che molti hanno conosciuto grazie al noto film interpretato da Robin Williams, è il medico che per primo ha applicato un approccio fantasioso al bambino. Tutti gli operatori sanitari dovrebbero imparare ad ascoltare il bambino, mettendosi al suo livello e cercando di entrare in sintonia con lui. Non è facile naturalmente per un medico trasformarsi in un clown, ma certamente questa esperienza lo aiuta a instaurare un dialogo diverso con i suoi pazienti, senza peraltro rinunciare alla sua professionalità. Per questo motivo è importante una stretta integrazione tra clown e dottori. Sdrammatizzare i momenti peggiori di un ricovero è indubbiamente utile per i pazienti, e non comporta il rischio di banalizzare eccessivamente dei problemi realmente gravi, anche perché la presenza dei clown in reparto di solito non è continuativa ma settimanale, il che la rende ancora più utile e apprezzata. I bambini attendono con ansia il loro arrivo e perfino l’ambiente del reparto è diverso quando per svariate ragioni i clown saltano un appuntamento. Bisogna dire inoltre che il clown dottore non ha soltanto lo scopo di far ridere, ma, grazie alla sua professionalità, riesce a convogliare verso l’obiettivo comune della guarigione tutte quelle energie che al contrario si disperderebbero inutilmente attraverso la rabbia, la delusione e la frustrazione. Inoltre il clown ristabilisce anche un giusto equilibrio all’interno della famiglia del bambino, che a seconda dei casi potrebbe reagire drammatizzando o banalizzando eccessivamente la realtà. Il bambino, grazie al clown, ha poi l’opportunità di immedesimarsi, una volta tanto, nel ruolo del medico e, pur trattandosi di un gioco, di provare ad avere la percezione di quanto non sia per niente scontato prendere decisioni, prescrivere cure o far accettare un intervento chirurgico.
La figura del clown
Essere clown non è facile e richiede, oltre all’abilità tecnica specifica, notevole sensibilità umana, dedizione e forza di volontà. Prima di accedere in reparto o in un centro di cura ogni clown incontra la caposala e il personale sanitario, per acquisire informazioni sui bambini ricoverati e sui loro singoli problemi. Poi si reca in visita da ciascuno di loro, a cui dedica in media un quarto d’ora: entra nella stanza e cerca innanzitutto di cogliere il clima che vi regna e lo stato d’animo del bambino. Se quest’ultimo non gradisce la visita – eventualità peraltro rara – il clown si congeda subito, altrimenti incomincia a intavolare un dialogo all’insegna della spontaneità, della comicità e della fantasia: fa apparire e scomparire fazzoletti colorati, gonfia palloncini colorati sagomandoli a forma di animali oppure estrae da una tasca magica un peluche… Se presenti, anche i familiari vengono coinvolti e il clown si adegua alle sensazioni e alle impressioni che di volta in volta riceve. I clown sono inoltre istruiti sulle opportune norme igieniche e, se necessario, utilizzano camici e oggetti rigorosamente sterilizzati. Già dopo pochi minuti l’aria di una stanza si rasserena, e il bambino, lasciatosi coinvolgere e guidare dal clown, impara a esternare e a neutralizzare i propri sentimenti negativi e a valorizzare e potenziare invece quelli positivi.
Ogni clown di solito effettua non più di due visite settimanali in ospedali diversi, in quanto esse richiedono una carica e una preparazione psicologica notevoli. In un centro, quindi, egli si reca una volta alla settimana in un giorno prestabilito, il che permette sia di non ostacolare l’operato dei medici e dei sanitari sia di creare un’aspettativa nei piccoli pazienti.
Tratto da: desiderimgagazine.it, 09 maggio 2010