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Riprogettare le cittā a tutela della salute

Il diabete è stato identificato come “un’emergenza sanitaria globale”. Nonostante ci sia una maggiore consapevolezza sulla malattia e siano stati messi a punto nuovi strumenti di prevenzione e gestione, nel corso degli ultimi 50 anni si è registrato un aumento inesorabile di diabetici: a oggi si stima siano 415 milioni gli adulti (1 su 11) nel mondo con diabete e le stime prevedono che entro il 2040 saranno 642 milioni (1 su 10). Una crescita che interessa tutte le età, tanto nei paesi occidentali quanto in quelli in via di sviluppo.

Il preoccupante aumento del diabete di tipo 2 è intrinsecamente legato all’invecchiamento della popolazione, alla crescente urbanizzazione, al benessere economico, a un’alimentazione meno sana e a una minore attività fisica, che fanno sì che si sia un cronico aumento di persone in sovrappeso e di obesi.

Se non è possibile intervenire sull’invecchiamento, possiamo però modificare i fattori di rischio che implicano una nostra scelta, come la dieta e l’attività fisica. Stili di vita sani potrebbero infatti ridurre i nuovi casi di diabete di tipo 2 fino all’80% (dati Oms).

Un aiuto, oltre alla nostra volontà, potrebbe arrivare anche dall’ambiente fisico e culturale in cui viviamo. Nel riprogettare le città si dovrebbero considerare spazi pubblici e lavorativi capaci di incoraggiare l’attività fisica. Per esempio facendo in modo che uffici, scuole e negozi siano ben collegati ai centri abitati attraverso piste ciclabili e percorsi pedonali, lasciando un numero sufficiente di aree verdi, riducendo l’inquinamento. Ma le istituzioni pubbliche e private stanno facendo abbastanza in questo senso? Quanto dovrebbero investire? E come possiamo misurarne i benefici?

Approcci simili hanno già dimostrato la loro efficacia, ma alcune domande hanno ancora bisogno di risposte: esiste una dieta capace di prevenire il diabete? Qual è il sistema più incisivo per informare e incoraggiare la “cultura della salute” a scuola, nei posti di lavoro e a casa?

Una maggiore conoscenza dei costrutti sociali alla base del diabete potrebbe certamente contribuire a progettare interventi più efficaci per combatterlo. Il progetto “Città Changing Diabetes” per esempio, ha “mappato” in tutte le sue sfaccettature il diabete nei centri urbani (valutando estensione, driver sociali, economici e culturali) attraverso il coinvolgimento di aziende farmaceutiche, università, organizzazioni del terzo settore e responsabili politici provenienti da 11 città di tutto il mondo per condividere e superare insieme questa sfida.

Dal progetto è emerso che il diabete a Città del Messico è associato con lo stress, e in particolare ai lunghi spostamenti, all’insicurezza sociale, allo sfruttamento e alla delinquenza; mentre a Shanghai è fortemente stigmatizzata e associata con la debolezza e la vecchiaia. L’approccio antropologico è quindi un parametro necessario per comprendere al meglio il diabete, così come un intervento olistico, che riunisce diversi attori e competenze che lavorano su un valore condiviso (il benessere della popolazione), è fondamentale per implementare strategie efficaci.

Fateci sapere il vostro parere rispondendo al quarto questionario di REIsearch sulle malattie croniche promosso da Atomium- European Institute for Science, Media and Democracy.

Tratto da: Il Sole 24 Ore, 10 marzo 2016