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Obesitā: la prevenzione comincia prima del concepimento

I rischi per i figli vanno dall'autismo all'ipertensione, dalla malattia coronarica al cancro

Il tempo che precede il concepimento è un'occasione mancata per prevenire la trasmissione del rischio di obesità alla generazione successiva. Siccome non mancano le prove che attribuiscono all'obesità la colpa per un serie di disturbi cronici come il diabete e le malattie cardiache, e di patologie anche gravi, come vari tipi di cancro, è necessario motivare i futuri genitori a condurre una vita più sana. In quattro articoli pubblicati su The Lancet Diabetes and Endocrinology i ricercatori concludono insomma che l'obesità dei futuri adulti va prevenuta prima dell'infanzia, prima della gravidanza, addirittura prima del concepimento.

A preoccupare maggiormente sono le gravidanze indesiderate e quelle che hanno per protagoniste ragazze giovani per le quali i programmi di salute pubblica danno per scontato che le loro esigenze siano simili a quelle della popolazione generale e che non richiedano speciali misure di aiuto e protezione. Ma secondo gli autori è necessario un nuovo approccio che impegni i futuri genitori e li incoraggi a essere parte della soluzione.

Pericolose conseguenze

Tra i rischi dell'obesità materna i ricercatori includono la possibilità di bambini nati morti, pressione pericolosamente alta nella madre incinta, diabete per madre e bambino e complicazioni durante il parto. E dopo la nascita l'obesità materna aumenta il rischio di autismo e deficit di attenzione nei figli oltre a quello di sviluppare alcuni tipi di cancro più avanti negli anni. Il fatto è che le donne pericolosamente in sovrappeso che mettono alla luce un figlio innescano un circolo vizioso e passano l'obesità alla generazione successiva con tutto il carico di problemi che ne deriva.

Una revisione di studi precedenti, a cura di un team dell'Università di Southampton, ha sottolineato che anche il peso dei padri potrebbe aumentare i rischi. “Prove crescenti indicano l'obesità materna come un importante determinante della salute della prole durante l'infanzia e nella vita adulta”, si legge nello studio, che spiega come si intensifichi il rischio del bambino di andare incontro a malattia coronarica, ictus, diabete di tipo 2 e asma. L'obesità materna potrebbe anche portare a peggiori prestazioni cognitive e a un aumento del rischio di disturbi dello sviluppo neurologico, compresa la paralisi cerebrale.

La chiave sta nei “processi epigenetici per i quali alcuni aspetti della vita dei genitori, sia madre che padre, possono influenzare il modo in cui i geni del bambino si comportano durante lo sviluppo. Questi possono cambiare le risposte della persona alle sfide, per esempio, di vivere in un ambiente 'obesogeno'“, aggiunge Keith Godfrey, autore della revisione.

Dalla teoria alla pratica

Se sono chiare dunque le priorità, non è affatto facile mettere in pratica quel lavoro di sensibilizzazione e prevenzione che occorrerebbe su scala planetaria. L'obesità è ovunque in crescita, i dati del recente World Obesity day dicono che gli obesi nel mondo sono 600 milioni, un dato più che doppio rispetto agli anni '80, mentre quasi 2 miliardi di adulti sono in sovrappeso. Il problema riguarda ormai anche noi dal momento che quasi la metà degli italiani adulti ha dei chili da smaltire e il problema si fa sentire maggiormente tra coloro che sono in difficoltà economiche e hanno un livello di istruzione più basso. La sfida che si presenta a chi si occupa di salute pubblica quindi è duplice: arginare l'obesità nella popolazione generale, obiettivo che si sta rivelando tostissimo da centrare, e prevenirne l'insorgenza in coloro che dovranno mettere al mondo la prossima generazione di bambini.

A remare contro vi sono una serie di problemi ben riconosciuti ma non per questo meno difficili da estirpare: pubblicità martellante di cibo spazzatura, spostamenti sempre più motorizzati, incremento dei comportamenti sedentari, nei quali è centrale l'onnipresenza degli schermi nella vita dei bambini fin da piccolissimi.

Tratto da: Panorama, Marta Buonadonna, 14 ottobre 2016