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Inibitori Sglt2 e chetoacidosi diabetica, casi raddoppiati, ma benefici superano rischi

Le segnalazioni di casi di chetoacidosi diabetica in pazienti con diabete di tipo 2 in trattamento con inibitori Sglt2, tali da essere riportate in scheda tecnica, tornano alla ribalta con uno studio appena pubblicato. Chiediamo un parere a Giuseppina Russo, ricercatore universitario presso il Dipartimento di Medicina Interna del Policlinico Universitario di Messina.

Qual era lo scopo di questo studio?

Questo studio, pubblicato recentemente come lettera all'editore sul "New England Journal of Medicine", aveva lo scopo di "misurare" il rischio di sviluppare chetoacidosi diabetica dopo l'avvio della terapia con Sglt2 inibitori, una classe di ipoglicemizzanti orali per il trattamento del diabete di tipo 2. La chetoacidosi diabetica è infatti una grave complicazione del diabete causata da ridotti livelli di insulina; casi rari e potenzialmente letali di questa condizione si sono verificati in pazienti trattati con inibitori Sglt2, con una presentazione clinica "atipica" perché non accompagnata da elevati livelli di glicemia (chetoacidosi euglicemica).

Che metodologia hanno adottato i ricercatori?

Il gruppo di ricerca di Michael Fralick, della Division of Pharmacoepidemiology and Pharmacoeconomics del Brigham and Women's Hospital di Boston, co-autore dello studio, ha analizzato i dati di un ampio database di una compagnia assicurativa americana, che includeva oltre 50.000 soggetti che avevano avviato una terapia con inibitori Sglt2, paragonandoli a soggetti che invece avevano iniziato una terapia con i Dpp4 inibitori, scelti come "comparator" perché entrambe le classi di farmaci sono terapie di seconda linea nel trattamento del diabete e per questi ultimi, a oggi, non vi sono state segnalazioni di un aumentato rischio di chetoacidosi. I pazienti, circa 40.000 per gruppo, sono stati appaiati utilizzando il "propensity score matching" sulla base di caratteristiche definite.

Quali risultati hanno ottenuto?

Dopo 180 giorni, il rischio di chetoacidosi era doppio per i pazienti trattati con l'inibitore Sglt2 rispetto ai pazienti che assumevano l'altra classe di farmaco (55 vs 26 pazienti; Hr 2.1; 95% CI 1.4-3.6).

A suo avviso, questo studio avalla o riduce i timori rispetto al "warning" già emesso dall'FDA circa questa possibile complicanza? Questi dati possono modificare l'impiego clinico degli inibitori SGLT2? Qual è la posizione al proposito di Ema e Aifa?

I meriti di questo studio sono quelli di aver verificato e quantificato, con dati "real world" tratti dalla pratica clinica americana, il rischio di chetoacidosi nei pazienti con diabete di tipo 2 trattati con questa classe di farmaci. La chetoacidosi è una gravissima complicanza che deve essere quindi tenuta ben presente quando si avvia la terapia con inibitori Sglt2. Tuttavia, rileggendo questi dati in modo critico, sarebbe importante conoscere i metodi utilizzati per escludere una diagnosi di diabete di tipo 1, i valori di emoglobina glicata all'avvio del farmaco e i criteri utilizzati per la diagnosi di chetoacidosi, dato che gli stessi Autori dichiarano che «i casi che richiedevano l'ospedalizzazione erano infrequenti».

Riguardo al "warning" emesso dalla Fda, questo studio avalla l'utilità di tenere in considerazione il rischio di questa rara, ma grave complicanza, quando si avvia la terapia con inibitori Sglt2. Anche l'Aifa ha emesso un "warning" analogo, sottolineando come questa classe di farmaci non fosse indicata per il trattamento del diabete di tipo 1. Successivamente, anche l'Ema ha fornito ai medici delle indicazioni per minimizzare il rischio di chetoacidosi nei pazienti trattati con inibitori Sglt2, raccomandando cautela nei pazienti con fattori di rischio per chetoacidosi, inclusi una bassa riserva insulinica, condizioni che limitano l'assunzione di cibo o possono portare a grave disidratazione, un'improvvisa riduzione di insulina o un'aumentata richiesta di insulina dovuta a malattia, chirurgia o abuso di alcol. D'altro canto, i pazienti che assumono uno di questi medicinali devono essere informati circa i sintomi della chetoacidosi diabetica ed istruiti a contattare il medico alla loro comparsa. Tenute conto queste raccomandazioni, la posizione dell'Ema è condivisibile anche nelle sue conclusioni, quando afferma che i benefici degli inibitori Sglt2 continuano a superare i loro rischi nel trattamento del diabete di tipo 2 e quindi questi farmaci vanno considerati delle importantissime armi contro il diabete di tipo 2 e le sue complicanze, purché nelle mani di operatori esperti.

N Engl J Med, 2017;376(23):2300-02

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/28591538

Tratto da: Diabetologia33, 21 luglio 2017