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La sanitā pubblica abbandona i pazienti non autosufficienti

La denuncia del Cergas-Bocconi. Il tallone d’Achille è l’assistenza ai malati cronici

Equilibri nel bilancio e squilibri nell’assistenza. In estrema sintesi è quello che emerge dal 18° Rapporto Oasi (Osservatorio sulle Aziende e sul Sistema Sanitario Italiano) promosso da Cergas e SDA Bocconi che anche quest’anno ha scattato la fotografia del Servizio sanitario nazionale. La buona notizia è una: la sanità pubblica, dopo anni di tagli e risparmi, non ha più i conti in rosso. Le cattive notizie sono due: permangono le disuguaglianze nei livelli di salute tra Nord e Sud e scarseggia l’assistenza alle persone non autosufficienti. Le malattie croniche rappresentano ancora la principale sfida alla sostenibilità del sistema sanitario.

I conti

Il Servizio sanitario nazionale ha speso, nel 2016, 115,8 miliardi di euro, una cifra in crescita dell’1,1 per cento sul 2015, ma che, tra il 2010 e il 2016, è aumentata in media dello 0,7 per cento l’anno, un tasso inferiore a quello dell’inflazione

La spesa sanitaria, che nel 2010 costituiva il 24 per cento della spesa di welfare pubblico, sei anni dopo è scesa al 21,9 per cento, a favore della spesa assistenziale, passata dall’8 al 10 per cento.

Ma è diminuita anche la spesa per il personale tra il 2010 e il 2016.  Nel complesso la spesa per beni e servizi (33,6% di quella totale) supera quella del personale (29,7%). La conseguenza? L’«allarmante crescita dell’età media degli operatori». Più della metà dei medici della sanità pubblica (52%) ha più di 55 anni.

Negli altri Paesi europei la percentuale di dottori dai capelli bianchi è inferiore: si va dal 13 per cento del Regno Unito, al 43 per cento della Germania e al 46 per cento della Francia.

Il divario tra Nord e Sud

L’esempio più eloquente è quello sulla disparità della speranza di vita in buona salute, che è in media di 60 anni al Nord e 56 al Sud. Tra i due estremi dello Stivale c’è una differenza di 20 anni: un cittadino di Bolzano può contare di arrivare a 70 anni senza troppi problemi di salute, mentre in Calabria la soglia si abbassa ai 50 anni.

Il doppio volto del Ssn emerge subito con un semplice esperimento. Basta rivolgere la banale domanda “come ti senti?” ai malati cronici del Nord e del Sud: a rispondere “bene” è il 49,6 per cento dei primi ma solo il 36,6 per cento dei secondi.

Quelli che restano fuori

C’è ancora una grossa fetta di malati non autosufficienti e cronici lasciata ai margini dalla sanità pubblica.

«Le fonti pubbliche - osservano i curatori del Rapporto, Francesco Longo e Alberto Ricci - coprono ancora il 95 per cento della spesa ospedaliera, ma solo il 60 per cento della spesa per prestazioni ambulatoriali e il 65 per cento delle spese di assistenza di lungo termine nelle strutture residenziali». Questa mancata assistenza è il vero tallone d’Achille della sanità pubblica. I posti letto pubblici o privati per le persone non autosufficienti coprono meno del 10 per cento del fabbisogno: ci sono solo 270mila posti letto rispetto a 2,8 milioni di non autosufficienti. E le cure domiciliari non riescono a colmare il gap. Il Servizio sanitario riesce a garantire 17 ore per paziente preso in carico. Il calcolo della durata dell’assistenza è facile a farsi: ipotizzando pacchetti di due ore settimanali, l’intervento si riduce a poco più di due mesi.

Soluzioni a breve termine

Che succede quando il paziente cronico viene tagliato fuori dall’assistenza sanitaria? A quel punto gli scenari possibili sono tre. Il ricovero in strutture private o pubbliche in regime di solvenza completa, l’assistenza di un parente o il ricorso a personale più o meno specializzato, dalla badante all’operatore socio assistenziale. Ma tutte e tre le soluzioni non possono durare a lungo. «Tale meccanismo si regge grazie a una combinazione di equilibri sociali destinati a scomparire - afferma Longo - Se oggi, infatti, il rapporto tra anziani e popolazione attiva è 35 a 100, nel 2065 sarà 60 a 100. Il sistema pensionistico ha, inoltre, tutelato i redditi medi degli anziani, rimasti pressoché invariati tra il 2006 e il 2014 mentre quelli dei giovani tra i 19 e i 34 anni sono diminuiti di 20 punti percentuali, ma il progressivo passaggio al sistema contributivo è destinato a ridurre anche i redditi da pensione».

Se non cambia qualcosa, insomma, il tallone d’Achille della sanità pubblica diventerà sempre più vulnerabile.

Tratto da: Healthdesk, 09 dicembre 2017