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Come riconoscere i primi sintomi dell’Alzheimer?

Lo abbiamo chiesto ad Alessandro Padovani, direttore della Clinica Neurologica presso gli Spedali Civili di Brescia.

Perdita della memoria a breve termine, difficoltà organizzative, disorientamento: sono questi alcuni dei sintomi della malattia di Alzheimer, che, soprattutto nelle fasi iniziali, possono essere scambiati con i normali segni dell’invecchiamento, non collegati a patologie specifiche. Vediamo allora cosa suggeriscono gli esperti per distinguerli, in modo da capire quando è il caso di sottoporsi a una visita specialistica. Anche perché una diagnosi tempestiva può fare la differenza per riuscire a contrastare più a lungo possibile la progressione della malattia.

Quante persone colpisce

Secondo l’OMS, attualmente nel mondo più di 55 milioni di persone convivono con qualche forma di demenza, di cui l’Alzheimer costituisce la forma più comune, arrivando a coprire il 60-70% dei casi. Per quanto riguarda l’Italia, le stime più recenti parlano di oltre un milione e duecentomila casi totali (400 mila uomini e quasi 900 mila donne). Sembra inoltre che ci sia una generale tendenza all’aumento dei casi di Alzheimer: la prevalenza (cioè la percentuale di persone con la patologia) era del 2,12% nel 2018 e si stima che raddoppierà entro il 2050.

Colesterolo, ipertensione e diabete tra i fattori di rischio

Le cause, si legge nel rapporto di Alzheimer Europe, sono legate soprattutto al progressivo aumento dell’età media, in particolare per quanto riguarda il numero di persone di età pari o superiore ai 70 anni. “Il punto è che abbiamo una popolazione che invecchia progressivamente, di conseguenza i numeri sono complessivamente in aumento, ma la malattia in realtà è in discesa”, spiega a Salute Alessandro Padovani, direttore della Clinica Neurologica presso gli Spedali Civili di Brescia e uno dei soci fondatori di Airalzh Onlus (Associazione Italiana Ricerca Alzheimer). Questo, spiega l’esperto, anche grazie ad un controllo più capillare di quelli che oggi sappiamo essere i fattori di rischio per l’insorgenza delle demenze, Alzheimer incluso. Fra questi, oltre all’età e ai casi di demenze in famiglia, ci sono anche l’ipercolesterolemia, l’ipertensione e il diabete. “Tenerli sotto controllo - continua Padovani - può contribuire al rallentamento della malattia. Ci sono ad esempio dati che dimostrano che anti-diabetici e anti-ipertensivi possono avere di per sé un’azione di rallentamento nella malattia di Alzheimer e anche in altre demenze”.

Quali sono i primi segnali?

Nella maggior parte dei casi, già diversi anni prima di ricevere la diagnosi, i malati di Alzheimer iniziano a lamentare problemi di memoria di vario tipo: si tratta in realtà di disturbi di attenzione e di apprendimento di nuove informazioni. Un altro indizio può essere la perdita della capacità del multitasking, cioè di dedicare la propria attenzione a diversi stimoli contemporaneamente. “Nella maggior parte dei casi - prosegue l’esperto - questi disturbi vengono presi per dimenticanze o lapsus, ma dopo i 65 anni, specialmente in una persona che non ha mai avuto questi episodi in precedenza, si tratta di segnali che meriterebbero per lo meno di essere seguiti, e poi eventualmente valutati”. D’altra parte si tratta di segnali che potrebbero anche essere legati ad alterazioni dello stato emotivo, dovute ad esempio a disturbi d’ansia o a disturbi depressivi, che negli anziani non sono infrequenti: “Il neurologo e il geriatra sono gli specialisti più indicati per valutare se i disturbi siano legati ad un fenomeno patologico oppure a un problema contestuale (ad esempio un lutto). Quando il disturbo è tale da interferire con le normali attività che quella persona svolge, dall’andare a fare la spesa al guardare la TV, allora è necessaria la valutazione neurologica o geriatrica”.

La difficoltà a ricordare i fatti recenti

Molto meno frequenti sono gli esordi della malattia caratterizzati dalla difficoltà di trovare le parole, o addirittura di esprimersi correttamente, di orientarsi nell’ambiente o di riconoscere persone e oggetti. “Questi casi si manifestano più frequentemente nelle persone in cui l’esordio della malattia è pre-senile (prima dei 65 anni). Le forme classiche sono invece quelle in cui il paziente si dimentica qualcosa che è avvenuto nei giorni o nelle settimane precedenti, ma non si dimentica cosa ha fatto qualche anno fa”, conclude Padovani.

Tratto da: La Repubblica Salute, Sara Carmignani, 13 ottobre 2023