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Rene: il lavoratore silenzioso chiede più rispetto

 

In Italia c'è poca consapevolezza della sua importanza. Poche regole, ma necessarie, per mantenerlo efficiente
MILANO - Se i reni soffrono, non fanno male: continuano a sgobbare in silenzio, cercando di svolgere la loro funzione fino a quando non ce la fanno proprio più. Forse anche per questo le loro funzioni e le loro malattie sono meno note rispetto a quelle di altri organi. Secondo i dati di una recente indagine Eurisko, gli italiani conoscono il rene un po' meglio oggi che un paio di anni fa, ma c'è ancora molto da fare per arrivare a una consapevolezza sufficiente per mettere in pratica efficaci strategie di prevenzione: più della metà degli intervistati crede che la malattia renale dia sempre sintomi, il 10% non ha mai neppure sentito parlare di insufficienza renale e comunque sono in pochissimi a saper dire quali e quanti fattori la possono provocare. «Eppure le malattie del rene sono in continua crescita - commenta Piergiorgio Messa, primario di nefrologia e dialisi al Policlinico di Milano -, soprattutto per l'aumento di età media e la maggiore sopravvivenza dei malati cronici».
FATTORI DI RISCHIO - Non bisogna però pensare che le malattie renali siano appannaggio degli anziani: quando si dice che il 10-15% degli italiani ha un danno renale anche lieve, ci si riferisce alla popolazione generale, bambini compresi. Oltre i 75 anni la percentuale sale al 35-40%. Un fenomeno favorito dalle stesse condizioni che alimentano il rischio cardiovascolare: fumo, obesità, pressione alta, eccesso di colesterolo e, soprattutto, diabete. «D'altra parte il rene è l'organo più vascolarizzato dell'organismo - spiega Messa - e per questo risente di qualunque fattore che danneggi i vasi sanguigni». Quello che pochi sanno è che questo innesca un circolo vizioso per cui, più il rene soffre, più aumenta il rischio per cuore e vasi. «Avere reni in cattivo stato aumenta il rischio di infarto o di ictus più dell'ostruzione delle coronarie» precisa lo specialista. Come evitare che si arrivi a tanto? Il primo passo è individuare il danno renale quando è ancora limitato. «Oltre ai diabetici, chi ha casi di malattie renali in famiglia o fattori di rischio cardiovascolare perché iperteso, obeso o comunque ha più di 65 anni, dovrebbe sottoporsi a un controllo annuale» continua Messa. Basta un esame del sangue e delle urine. «Anche quando il valore della creatinina nel sangue (l’indicatore principale della salute del rene, ndr) è nella norma - spiega il nefrologo -, applicando apposite formule che tengono conto di sesso, età e peso, si può scoprire se il rene sta già perdendo colpi». Poi, con la raccolta delle urine delle 24 ore, per calcolare quante proteine sono perse ogni giorno (microalbuminuria), si può capire ancora meglio quanto il filtro stia ancora funzionando.
INFARTO E ICTUS - «Anche quando la malattia renale è ancora lieve, e passa inosservata, il cuore è già a rischio - interviene Carmine Zoccali, direttore dell'Unità di nefrologia, dell'Ospedale di Reggio Calabria -. Se, per esempio, la capacità di filtrazione è ridotta al 45%, il rischio di incappare in un infarto o in un ictus nei 10 anni successivi raddoppia. Sapendolo, ci si può impegnare ancora di più sui fattori di rischio che si possono modificare: fumo, peso, ipertensione, colesterolo, controllo del diabete». Inoltre, esistono oggi strumenti per fermare talvolta, o almeno frenare, la progressione della malattia. «In alcuni casi, se si arriva in tempo, è possibile ottenere una completa guarigione, identificando ed eliminando la causa della sofferenza renale: per esempio, quando a provocarla sono infezioni delle vie urinarie o medicinali» spiega Messa. Nella maggior parte dei malati purtroppo non è così e, qualunque sia la causa del danno iniziale al tessuto - una patologia congenita, l'arteriosclerosi, un'infezione, una malattia immunitaria o il diabete - se le proteine cominciano a sfuggire al filtro renale, è il loro stesso passaggio ad alimentare e peggiorare la situazione. «Per questo da qualche anno abbiamo messo a punto una strategia che concentra gli sforzi sul tentativo di contrastare la perdita delle proteine - spiega Piero Ruggenenti, nefrologo agli Ospedali Riuniti di Bergamo - con un cocktail di farmaci personalizzato che, con meccanismi diversi, producono tutti questo stesso effetto».
STILE DI VITA - Le pillole però da sole non bastano. «Senza intervenire sugli stili di vita e, soprattutto, senza ridurre il sale nell’alimentazione - sottolinea Ruggenenti - le altre cure non servono a nulla». «Una volta il nefrologo era il medico della dialisi - conclude Messa -, oggi è quello che cerca di ritardare o evitare il ricorso a questo trattamento o al trapianto. Con una diagnosi precoce e le cure che abbiamo oggi a disposizione, si può spostare sempre più avanti il momento in cui uno di questi due interventi è indispensabile: se il paziente è già anziano, la fine della sua vita potrà arrivare prima per altre cause; se è più giovane, arriverà a dover ricorrere alla dialisi o al trapianto più tardi e in condizioni generali migliori, con maggiori probabilità di successo».
Tratto da: Corriere della Sera Salute, Roberta Villa, 28 febbraio 2011