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C.F. 98152160176

Associazione fra variabilitā glicemica e rischio di sviluppare complicanze del diabete

I principali fattori di rischio per lo sviluppo di complicanze della malattia diabetica (soprattutto per quel che riguarda le complicanze microvascolari) sono la durata di malattia e il compenso glicemico. Molti autori sostengono che affinchè non si sviluppino queste complicanze sia fondamentale anche la stabilità del compenso glicemico. Gli autori di questa pubblicazione hanno effettuato una revisione sistematica e metanalisi degli studi pubblicati nell’ultimo decennio su variabilità di HbA1c e sviluppo di complicanze micro-macrovascolari nel diabete tipo 1 e nel diabete tipo 2. È stata effettuata una metanalisi degli studi di coorte disponibili in letteratura (Medline e Embase, periodo 2004-2015) che descrivevano l'associazione fra variabilità dell'HbA1c e gli outcome avversi in pazienti con diabete tipo 1 e 2. Per quanto riguarda il diabete tipo 1, sono stati inclusi 7 studi. La variabilità dell'HbA1c era associata a rischio relativo di nefropatia diabetica pari a 1.56 (95% CI 1.08–2.25), di eventi cardiovascolari pari a 1.98 (1.39–2.82) e di retinopatia diabetica pari a 2.11 (1.54–2.89); non c'erano dati sulla mortalità. Per quanto riguarda il diabete tipo 2 sono stati inclusi 13 studi. Anche in questo caso, l’alta variabilità era associata a più alto rischio di malattia renale (RR=1.34, [1.15–1.57], eventi macrovascolari (1.21 [1.06–1.38]), ulcera/gangrena (1.50 [1.06–2.12]), malattia cardiovascolare (1.27 [1.15–1.40]) e mortalità (1.34 [1.18–1.53]). Molti studi erano retrospettivi e i dati non erano aggiustati per i possibili fattori confondenti, inoltre vi era disomogeneità sulla definizione di variabilità glicemica. Gli autori hanno comunque concluso dai dati ricavati che una maggior variabilità dell’HbA1c conferisce, sia nel diabete tipo 1 sia nel diabete tipo 2, un maggior rischio di complicanze micro- macrovascolari e di mortalità, indipendentemente dal valore di HbA1c.

Fonte: Diabetes Care. 2015 Dec;38(12):2354-69. doi: 10.2337/dc15-1188.

Tratto da: Cardiolink, 23 gennaio 2016