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Di diabete si può ancora morire, come riconoscerlo nei bambini

Troppi genitori, insegnanti, medici non riconoscono i primi sintomi del diabete infantile. La chetoacidosi, spesso il primo segnale, è tuttora riconosciuta tardi e trattata a volte in modo sbagliato; una campagna di informazione e nuove linee guida.

Succede ancora oggi.

Nel nostro Paese si contano tuttora casi di bambini che muoiono o rischiano la vita per le complicanze di un diabete infantile non riconosciuto in tempo: uno dei casi più recenti, riferito durante l'ultimo congresso della Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica, è quello di una bimba milanese di 22 mesi che ha rischiato lesioni cerebrali permanenti per una diagnosi e un primo trattamento del diabete non adeguati. Essenziale maggiore attenzione e conoscenza dei segni della malattia: ancora oggi troppi genitori, insegnanti e perfino molti medici non sanno riconoscere bene i sintomi del diabete in un bambino.

Primi sintomi da riconoscere

In Italia ci sono circa 20mila bambini e ragazzi con diabete di tipo uno, un numero raddoppiato negli ultimi quindici anni. Individuare la malattia quanto prima è essenziale per una cura adeguata: se un bimbo dimagrisce senza motivo, beve troppo rispetto alle sue abitudini o fa tanta pipì, magari ricominciando a farlo anche di notte, occorre sospettare una disidratazione indotta dal diabete e sottoporlo agli esami giusti. Purtroppo spesso la malattia si manifesta da subito con la chetoacidosi, una complicanza che provoca sonnolenza, respiro irregolare, alito dall'odore di acetone e che può essere grave se non viene trattata nel modo giusto: non seguire le raccomandazioni per gestirla può peggiorare le cose ed esporre ancora di più al rischio di danni permanenti o perfino di morte. «Alla chetoacidosi si può associare infatti un edema cerebrale che può essere fatale e si sviluppa di solito entro quattro-dodici ore dall'inizio del trattamento in urgenza in ospedale, anche se in alcuni casi compare prima o nei due giorni successivi – dice Mohamad Maghnie, presidente SIEDP –. Riconoscere e trattare correttamente in Pronto Soccorso la chetoacidosi è indispensabile per evitare complicanze che possono portare alla morte, come è purtroppo successo ad alcuni piccoli pazienti negli ultimi anni. Promuovere la diagnosi precoce è essenziale anche per evitare che i bimbi arrivino in ospedale con sintomi già molto gravi». Per far sì che tutti sappiano riconoscere i primi segni del diabete e la chetoacidosi, da gennaio scorso è partita una campagna di informazione SIEDP che porterà nelle scuole e negli studi di circa diecimila pediatri materiali utili a individuare senza dubbi i sintomi di esordio della malattia.

Linee guida per gestire la chetoacidosi

SIEDP ha anche redatto le prime linee guida per la gestione della chetoacidosi, diffusa soprattutto al di sotto dei sei anni: stando a un'indagine condotta su 68 Centri di diabetologia italiani il 38,5 per cento dei bambini e ragazzi a cui è stato diagnosticato il diabete di tipo uno nel corso dello studio ha esordito con una chetoacidosi, peraltro grave in un caso su dieci, e due volte su tre si trattava proprio di piccoli con meno di sei anni. Le linee guida sono uno strumento essenziale per i pediatri, che devono sapere perfettamente come intervenire su bambini arrivati in Pronto Soccorso in emergenza per evitare l'edema cerebrale successivo a una chetoacidosi non ben curata. «Le prime due ore sono fondamentali – precisa Ivana Rabbone, responsabile del Gruppo di Studio sul Diabete SIEDP e coordinatrice dell'indagine sulla chetoacidosi –. Si inizia somministrando acqua e sali per far fronte alla disidratazione, responsabile di una riduzione della glicemia; solo dopo un paio d'ore si inizia la terapia insulinica per via endovenosa, inoltre la reidratazione non deve essere troppo prolungata perché potrebbe facilitare la comparsa di edema cerebrale. L'edema si manifesta più spesso nei bimbi piccoli, quando c'è una chetoacidosi grave o già presente all'esordio della malattia o se i sintomi durano da tempo. Prevenire la chetoacidosi e riconoscerla tempestivamente per un trattamento adeguato resta perciò indispensabile per evitare la morte o gravi complicanze neurologiche».

Tratto da: Corriere della Sera Salute, Elena Meli,20 febbraio 2016