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Il diabete sotto assedio: ad ogni malato subito la «sua» cura

Rispetto agli ultimi decenni le opzioni terapeutiche si sono moltiplicate. È importante che la scelta del trattamento più adatto per i singoli casi avvenga il prima possibile.

Oggi le armi contro il diabete sono moltissime, così come le novità tecnologiche che rendono le terapie più semplici, oltre che efficaci. Un armamentario terapeutico così vasto che orientarsi non sembra banale: anche per questo l’American Association of Clinical Endocrinologists ha da poco pubblicato nuove linee guida per la cura del diabete di tipo 2, che segnano un cambio di passo rispetto al passato perché aprono all’uso di farmaci innovativi fin dalle prime fasi della malattia. Una presa di posizione che fa discutere, perché i maggiori costi di questi medicinali possono essere difficili da sostenere in Paesi come il nostro in cui il diabete sta diventando un’epidemia.

I malati aumentano, non i medici

«Molte nuove molecole riducono il rischio di ipoglicemie, motivo di tanti accessi in Pronto soccorso: possono essere inizialmente costosi, ma a lungo termine potrebbero ridurre la spesa per le complicanze - osserva Nicoletta Musacchio, presidente dell’Associazione Medici Diabetologi (Amd) -. La sostenibilità del sistema va salvaguardata, ma c’è spazio per agire risparmiando dove possibile e garantendo al contempo la terapia migliore per ciascuno. L’importante è stabilire una strategia efficiente fin dalla diagnosi, per riportare quanto prima il paziente in controllo metabolico». «I farmaci innovativi sono spesso molto efficaci nelle fasi iniziali di malattia, mentre incidono meno se si sono già instaurate complicanze - interviene Enzo Bonora, presidente della Società Italiana di Diabetologia (Sid) -. Possono essere prescritti solo dai diabetologi, perciò dopo la diagnosi sarebbe opportuno rivolgersi a uno degli oltre 2.500 specialisti dei centri diabetologici italiani. Trent’anni fa l’80% dei pazienti era seguito dai centri, oggi siamo al 40-50%: il numero dei malati è cresciuto senza che aumentassero di pari passo i medici, in più servono risorse per gestire ambulatori dedicati a situazioni sempre più diffuse come il diabete gestazionale, il piede diabetico o l’impianto di microinfusori. Nel Nord Europa li usa il 20% dei diabetici di tipo 1, da noi il 5%: stiamo perdendo l’opportunità di sfruttare appieno tutte le armi che abbiamo».

Il difficile passaggio all’insulina

«L’individualizzazione della cura è basilare, sempre - sottolinea Musacchio -. L’obiettivo di controllo metabolico di un cinquantenne non è lo stesso di un anziano, la presenza di altre malattie incide parecchio, bisogna capire se la glicemia sale di più a digiuno o dopo i pasti; inoltre la terapia va scelta anche tenendo conto dell’impatto che può avere sulla qualità di vita, perché, per esempio, il rischio di ipoglicemie può essere più o meno grave a seconda del tipo di lavoro svolto. La strategia va perciò personalizzata al massimo e condivisa col paziente, che deve capire perché può diventare necessario cambiare farmaco: non sempre ciò accade perché la malattia peggiora, spesso serve un meccanismo d’azione diverso o una somministrazione più comoda». La paura delle paure, nei diabetici di tipo 2, è il passaggio all’insulina: vista dai più come un punto di non ritorno e una terapia difficile da gestire, viene abbandonata dal 25% dei circa 800mila in cui diventa indispensabile. Eppure gli strumenti per somministrarla sono sempre più facili da usare e indolori, inoltre a inizio febbraio è anche arrivata in Italia la prima insulina basale biosimilare, che aiuta a contenere i costi.

Migliorare l’aderenza alle cure

«I timori ci sono ma vanno sfatati perché molti prima o poi devono passare all’insulina - osserva Bonora -. Va detto però che oggi abbiamo molte alternative con efficacia simile e di più semplice gestione , come gli agonisti di Glp-1, che si possono prendere una volta alla settimana: intervenire bene, presto e con terapie “facili” migliora l’aderenza alle cure, purtroppo ancora bassa nei diabetici». «Bisogna puntare su trattamenti che possano essere seguiti senza intoppi, ma perfino il farmaco migliore è inutile se il paziente, oltre a non comprenderne fino in fondo l’utilità, non è consapevole della sua malattia e non cambia stile di vita: sana alimentazione e movimento restano un pilastro imprescindibile in qualunque terapia del diabete, a qualunque stadio», conclude Musacchio.

Meglio le iniezioni anche grazie alle «penne»

I nuovi anti-diabetici, tra cui gli inibitori del cotrasportatore sodio-glucosio di tipo due e gli inibitori della dipeptidilpeptidasi-4, facilitano la gestione del diabete perché superano alcuni dei difetti maggiori delle terapie del passato: molti fanno perdere peso, hanno “effetti collaterali” positivi come la riduzione della pressione e soprattutto riducono al minimo il rischio di pericolose iperglicemie. Alcuni, come certi analoghi del GLP-1, possono essere presi una volta alla settimana, facendo quasi “dimenticare” la cura anche se si tratta di medicinali da iniettare. Tanto che stando a uno studio pubblicato nelle scorse settimane su Diabetes, Obesity and Metabolism i pazienti arrivano a preferire questo trattamento alle pillole di ipoglicemizzanti orali da ricordare tutti i giorni, a volte pure più volte al giorno: il merito è anche delle nuove “penne” per le iniezioni, sempre più facili da usare.

Conflitti d’interesse

Da diversi anni Corriere Salute chiede agli esperti intervistati di dichiarare i propri conflitti d’interesse in merito ai temi trattati quando sono molto delicati o controversi. Tale dichiarazione è obbligatoria nelle riviste scientifiche e non deve essere motivo di giudizio negativo, anzi. I conflitti d’interesse nel mondo scientifico sono in gran parte inevitabili, perché la ricerca richiede fondi. Chi dichiara apertamente da chi è stato finanziato o retribuito per prestazioni professionali dichiara implicitamente che non ha nulla da nascondere. Ecco i conflitti d’interesse dichiarati per questo articolo. Nicoletta Musacchio dichiara di non avere conflitti di interesse in merito agli argomenti trattati. Lorenzo Piemonti dichiara di non avere conflitti di interesse in atto. Ha ottenuto finanziamenti da parte della Unione Europea Horizon 2020. Ha ricevuto negli ultimi due anni grant o compensi per relazioni da Dompé, Novartis, Sanofi nel campo del diabete in generale. Enzo Bonora dichiara di aver operato negli ultimi 5 anni in “advisory board” per Abbott, Astrazeneca, Boeheringer Ingelheim, Bristol-Myers Squibb, Bruno Farmaceutici, Janssen, Johnson&Johnson, Lilly, MSD, Novartis, Novo Nordisk, Roche, Sanofi, Servier, Takeda. Come presidente SID 2014-2016 ha intrattenuto rapporti per finanziarne ricerca e attività formative e istituzionali con tutte le aziende farmaceutiche e biomedicali dell’area diabetologica.

Tratto da: Corriere della Sera Salute, Elena Meli, 23 febbraio 2016