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Rischio obesità: non ci si può fidare nemmeno dei succhi di frutta

Alcuni Paesi per contrastare l’obesità hanno tassato le bibite gassate. E i consumi sono in calo. Ma un nuovo studio mostra che altri prodotti, come i succhi di frutta con zuccheri aggiunti, anche se percepiti come più sani, sono altrettanto dannosi se assunti in grandi quantità.

L’epidemia di obesità è un serio problema di salute negli Stati Uniti e lo sta diventando sempre di più anche in Europa. Fra gli alimenti sotto accusa, i responsabili additati più spesso sono il junk food (merendine, patatine, eccetera) e le bibite gassate. Ma un nuovo studio, pubblicato recentemente sul Bmj Open da un gruppo di ricercatori dell’Università di San Paolo del Brasile e dell’Università Tufts di Boston, avverte che andrebbero annoverati nella stessa categoria anche i succhi di frutta con zuccheri aggiunti: anche se generalmente sono percepiti come più salutari, in grandi dosi risultano altrettanto dannosi.

E le dosi, in particolare in America ma non solo, sono decisamente eccessive. La ricerca, condotta su un campione di oltre 9.000 persone (sia adulti sia bambini) ha evidenziato che nella dieta degli americani, in media il 57,9 per cento delle calorie proviene dai cosiddetti alimenti ultra-processati, cioè cibi nella cui preparazione – oltre a zuccheri, sale e grassi – entrano in gioco anche coloranti, dolcificanti e altri additivi usati per alterare le qualità del prodotto originario. Esempi tipici di cibi ultra-processati sono gli snack dolci, ma anche le confezioni di pasta pronta e dolciumi di vario tipo. Oltre che, appunto, le bevande zuccherate in genere.

Gli alimenti di questo tipo, rispetto a tutti gli altri, contengono dosi molto più elevate di zuccheri aggiunti, da tempo sotto l’occhio degli scienziati perché considerati calorie vuote, cioè prive di valori nutritivi: sono stati messi in relazione a un rischio più alto di obesità, diabete e malattie cardiovascolari. L’89,7 per cento degli zuccheri aggiunti ingeriti dagli americani proviene proprio dagli alimenti ultra-processati. Andando a scorporare i dati, si scopre come la prima fonte di zuccheri aggiunti siano le bibite gassate, con il 17,1 per cento del totale (e fin qui niente di troppo inaspettato); la sorpresa è che al secondo si piazzano i succhi di frutta zuccherati con il 13,9 per cento, mentre sono solo al terzo posto, con l’11,2 per cento, dolci e biscotti.

Le contromosse messe in atto finora da parte delle politiche sanitarie hanno puntato a tassare alcuni prodotti ritenuti i nemici pubblici e quindi a disincentivarne il consumo. E in effetti l’efficacia si è vista: fra il 2009 e il 2014, negli Stati Uniti, il consumo è sceso da oltre 19 miliardi di litri all’anno a meno di 16 miliardi. Solo che spesso le misure normative si concentrano appunto sulle bibite gassate trascurando le altre bevande zuccherate, come i succhi di frutta con zuccheri aggiunti, che nello stesso arco di tempo hanno fatto registrare un calo molto più lieve (da 9,7 a 8,5 miliardi di litri). A queste cifre vanno poi aggiunti i dati delle bevande energetiche e degli sport-drink, i cui consumi sono addirittura aumentati.

Per questo la nuova ricerca mette in causa l’impostazione di queste politiche e suggerisce di adottare misure basate in modo più rigoroso sulle quantità di zuccheri aggiunti, indipendentemente da come sono percepite da parte del pubblico.

Tratto da: Healthdesk, Paolo Gangemi, 25 maggio 2016