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Screening per l’ipercolesterolemia familiare: meglio farlo da piccoli

Consente non solo di individuare la malattia nel bambino, ma anche nei genitori salvando tanti giovani da un pericoloso infarto.

Misurare il colesterolo a un pargoletto di un anno: a molti potrebbe sembrare un’assurdità, ma in realtà potrebbe essere il modo per salvare tanti giovani da un pericoloso infarto.

Si tratta di quei giovani che ignorano di soffrire di ipercolesterolemia familiare, una patologia genetica caratterizzata dall’incapacità dell’organismo di eliminare dal sangue in modo efficace il colesterolo. I geni che regolano l’espressione del recettore delle LDL, le proteine a bassa densità che trasportano il colesterolo dal circolo sanguigno all’interno delle cellule, presentano dei difetti con il risultato di un esagerato e pericoloso accumulo di colesterolo a livello ematico.

Più o meno grave a seconda delle mutazioni geniche coinvolte e del fatto che sia presente in forma eterozigote o, in quella più rara omozigote, l’ipercolesterolemia familiare annovera tra le sue fila più individui di quanto dichiarino i dati epidemiologici. La diffusione della patologia è infatti di gran lunga sottostimata e la diagnosi avviene spesso solo dopo che il paziente ha già manifestato un disturbo cardiaco.

Una volta scoperta, poi, si va cascata e si cerca di individuarla anche nei parenti più stretti del malato che, verosimilmente, potrebbero condividere con lui le stesse pericolose mutazioni. Ma se la patologia è ereditaria, perché non ricercarla subito nei bambini, in modo da intervenire tempestivamente con un programma di prevenzione mirato prima che possa far danni?

Sui pro e i contro di uno screening precoce dell’ipercolesterolemia familiare si dibatte da tempo. Al Queen Mary University di Londra, però, sono convinti che indagare da subito l’eventuale presenza di questa malattia nei bambini potrebbe salvare molte vite, fino a evitare, nella sola Inghilterra, circa 600 casi di infarto all’anno nei giovani con meno di 40 anni.

Alcuni ricercatori britannici, sulle pagine del New England Journal of Medicine, hanno pubblicato i risultati di un’indagine condotta su più di 10 mila bambini di uno-due anni di età. Ai piccoli, durante le consuete visite ambulatoriali per le vaccinazioni, veniva prelevato un piccolo campione di sangue su cui testare la colesterolemia ed eseguire una ricerca di varianti geniche tra 48 di quelle conosciute e associate all’ipercolesterolemia familiare.

I bambini risultavano positivi allo screening in presenza di mutazione e livelli di colesterolo sopra la media o con alta colesterolemia riscontrata anche in test effettuati a distanza di tre mesi. Tale strategia ha permesso di diagnosticare l’ipercolesterolemia familiare in un bambino ogni 270, un numero circa doppio rispetto a quello precedentemente stimato che era di uno ogni 500.

E, trovato il bambino, si andava a indagare anche la malattia nei genitori. In totale lo screening ha portato a identificare, ogni 1000 bimbi considerati, quattro genitori e quattro piccoli affetti da ipercolesterolemia familiare.

«Questa è la dimostrazione che lo screening bambino-genitore può funzionare su larga scala, con la ragionevole possibilità di coprire tutta la popolazione e di individuare chi è a più alto rischio di attacco cardiaco precoce, mentre con le precedenti strategie buona parte dei malati restava nascosto», dichiara David Wald, cardiologo e principale autore della ricerca, «inoltre, combinare lo screening con le vaccinazioni di routine ne permetterebbe una più facile gestione con una riduzione dei costi, evitando visite supplementari».

Non sempre, però, chi presenta mutazioni associate all’ipercolesterolemia familiare presenta anche da subito elevati livelli di colesterolo. Inoltre, testare bambini così piccoli per questa malattia può spaventare i genitori, impauriti da un eventuale esito positivo dello screening, con possibili effetti sulla salute futura del figlio, e dall’idea di dover somministrare cure al piccolo già in tenera età.

«In realtà si dovrebbe vedere l’ipercolesterolemia familiare, più che come un disturbo vero e proprio, come un serio e importante fattore di rischio da riconoscere e tenere sotto controllo prima possibile», conclude Wald. Se non si corre subito ai ripari, chi ne è affetto ha un rischio 100 volte più elevato di avere una patologia coronarica prima dei 40 anni. Questo, però, non significa dare statine o altri farmaci a bambini piccoli. Prima di ricorrere alle terapie farmacologiche, somministrate in tenera età solo in casi particolarmente gravi, molto possono fare la prevenzione con sani stili di vita e un attento monitoraggio nel tempo».

«Questo è un esempio di una strategia di screening efficace che può essere combinata con la vaccinazione di routine e che presenta chiari vantaggi», ha detto Wald. «Visite cliniche supplementari sono necessarie e l'efficacia è alta perché i genitori sono già concentrati sulla salute futura dei propri figli e della famiglia nel complesso».

Tratto da: Healthdesk, Cristina Gaviraghi, 15 dicembre 2016