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Come dimagrire in caso di obesitā? Quando (e a chi) servono farmaci e chirurgia

Diverse molecole con proprietà diverse per i medicinali: ci vuole uno specialista. Per la chirurgia in Italia ci sono pochi posti, comunque non è un’operazione estetica: dopo l’intervento ci si deve impegnare in un programma preciso.

Dimagrire è l’obiettivo, ma come riuscirci visto che l’obesità è una malattia complessa e non basta mettersi a dieta e muoversi di più per risolverla? «Oggi oltre alla chirurgia, da riservare ai casi più gravi (si veda più avanti, ndr), si possono avere buoni risultati anche con i farmaci», risponde Luca Busetto, presidente della Società Italiana dell’Obesità. «Gli anti-obesità del passato hanno creato problemi perché agivano su sistemi generici e neurotrasmettitori coinvolti in molte funzioni, come serotonina e dopamina; i nuovi farmaci hanno meccanismi diversi e più specifici, sono perciò più sicuri ed efficaci».

I farmaci

Oggi in Italia per l’obesità il medico può prescrivere orlistat, che impedisce l’assorbimento intestinale dei grassi, la combinazione naltrexone-bupropione che agisce sui centri regolatori dell’appetito, e liraglutide, un antidiabetico che oltre a normalizzare la glicemia riduce il senso di fame e aiuta a dimagrire.

Il doppio filo fra obesità e diabete è ben saldo e lo dimostra semaglutide, antidiabetico «parente» di liraglutide ancora più efficace per dimagrire: negli adulti si arriva a perdere anche il 20% del peso e il risultato si mantiene finché si segue la cura. Approvata contro l’obesità dall’Agenzia Europea del Farmaco a un dosaggio più elevato rispetto a quello usato nel diabete di tipo 2, non è ancora disponibile in Italia con questa indicazione e può essere prescritta a chi ha diabete di tipo 2, ma è diventata un caso perché negli Usa anche persone in semplice sovrappeso hanno iniziato a usarla per dimagrire: ciò, oltre a esporre a maggiori effetti collaterali e rischi, ha creato scarsità di approvvigionamento per i pazienti con indicazione all’uso. «Chi non ha diabete od obesità non deve usare semaglutide, ma in queste due malattie c’è anche riduzione del rischio cardiovascolare», aggiunge Fabrizio Oliva, presidente Anmco. «Sono in arrivo altri farmaci» conclude Busetto. «La cura dell’obesità potrebbe cambiare molto nei prossimi anni, se sarà garantita un’equa possibilità di accesso a questi medicinali».

La chirurgia

In Italia sono almeno 600 mila gli obesi che avrebbero l’indicazione alla chirurgia bariatrica, ma ogni anno vengono eseguiti soltanto 20-30 mila interventi. I Centri per la cura dell’obesità da cui si entra nel percorso di terapia che può portare all’operazione sono circa 130 su tutto il nostro territorio, ma occorre aumentare le possibilità di accesso e ovviare alle significative differenze regionali, visto che il 55 per cento degli interventi si concentra nelle Regioni del Nord del Paese, dove peraltro la prevalenza di obesità è inferiore.

Lo hanno spiegato gli esperti durante l’ultimo congresso della Società Italiana di Chirurgia dell’Obesità e malattie metaboliche (Sicob): la chirurgia bariatrica ha precise indicazioni e viene riservata ai casi gravi, nei quali può ridurre fino al 70 per cento il peso in eccesso e presenta un basso tasso di complicanze. I dati presentati mostrano che ha un impatto positivo anche sulla mortalità dei pazienti, che in generale si riduce del 16 per cento rispetto agli obesi non trattati.

Non è un’operazione estetica

Eppure anche su questa chirurgia alcuni malintesi esistono perché, come spiega Marco Antonio Zappa, presidente Sicob, «spesso viene ancora considerata un intervento estetico per soddisfare i capricci di persone “colpevoli” di essere obese, senza comprendere che si tratta invece di un’operazione salvavita contro una malattia che è stata definita da alcuni come il cancro del terzo millennio: se l’obesità non ci fosse avremmo il 12-13 per cento di tumori in meno. Ma se continueremo a ritenerla soltanto un problema estetico di cui, oltretutto è responsabile il paziente, non potremo risolverla».

Anche la chirurgia, che è sempre meno invasiva e più efficace, non va però considerata una soluzione «facile» perché, come specifica ancora Zappa, «rappresenta una tappa cruciale che riduce il rischio di ictus, diabete, coronaropatie e perfino di alcuni tumori ma dopo la sala operatoria occorre impegnarsi ed essere seguiti dai medici dei Centri, perché se si crede di farcela da soli il pericolo di riprendere il peso perduto è reale».

Tratto da: Corriere della Sera Salute, Elena Meli, 23 novembre 2023