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LDL a target: si possono raggiungere non a caro prezzo!

Il trattamento ipolipemizzante intensivo dei pazienti a rischio cardiovascolare alto e molto alto è un traguardo raggiungibile con nuove strategie terapeutiche, economicamente vantaggiose.

Il ruolo centrale svolto dal colesterolo LDL nello sviluppo delle patologie cardiovascolari secondarie all’aterosclerosi è, ormai, ampiamente dimostrato da innumerevoli evidenze ed è acclarato che il mantenimento della lipoproteina, entro certi valori, riduca drasticamente la comparsa di eventi. Le Linee Guida dell’ESC del 2019, confermate nelle più recenti del 2023, identificano chiaramente due tipologie di pazienti che andrebbero trattati in modo aggressivo con la terapia ipolipemizzante in prevenzione primaria e secondaria: i soggetti a rischio cardiovascolare alto e molto alto, raggiungendo rispettivamente i valori target di LDL <70 mg/dl nell’alto rischio e LDL <55 mg/dl nel rischio molto alto. Nonostante le raccomandazioni di tutte le Società Internazionali Cardiologiche e Diabetologiche, un notevole numero di articoli riporta come, in diversi paesi Europei negli ultimi anni, in real life, un’esigua percentuale di pazienti raggiunga il target prestabilito. In Italia, come descritto recentemente da Marcello Arca nel sottogruppo dello studio osservazionale europeo Santorini, condotto nel 2020-2021, la quota di pazienti a rischio cardiovascolare alto e molto alto a target terapeutico è solamente il 20,3% dell’intera coorte, in particolare il 19.9% dei pazienti a rischio molto alto e il 21.8% di quelli ad alto rischio (1).

Su questo argomento, lo scorso anno, Julius Katzmann ha coordinato uno studio di simulazione estremamente interessante, anche nella metodologia applicata, nel quale si identificano quali siano le strategie terapeutiche ottimali per ottenere il raggiungimento dei valori target in modo economicamente vantaggioso (2).

La coorte studiata è estrapolata da un database (IQVIA Disease Analyzer) che contiene dati anonimi di pazienti assistiti in 3300 ambulatori di medicina generale e specialistici in Germania. I pazienti arruolati nello studio erano stati visitati presso gli ambulatori tra Luglio 2020 e Giugno 2021 e dovevano rispettare i seguenti criteri di inclusione allo studio: età superiore ai 18 anni, diagnosi di ipercolesterolemia o assunzione di terapia ipolipemizzante, avere un rischio cardiovascolare alto o molto alto e la disponibilità di una misurazione del valore di LDL.

I pazienti potevano assumere da almeno 4 settimane le seguenti terapie ipolipemizzanti, prima di essere arruolati: statine, ezetimibe, acido bempedoico, associazioni fisse di questi farmaci ed inibitori di PCSK9. Nel periodo di arruolamento lungo 12 mesi, sono stati visitati circa 2 milioni di pazienti dei quali solo 105.577 soddisfacevano i criteri di inclusione: tra questi 76.900 erano a rischio cardiovascolare molto alto e 28.677 a rischio alto. L’età media della coorte di simulazione era di 70 anni circa e il 43% dei pazienti era di sesso femminile. I fattori di rischio cardiovascolari erano così rappresentati: l’85% dei pazienti era iperteso, il 54% diabetico e i fumatori attivi erano il 48%. Quasi la metà dei pazienti aveva una Malattia Coronarica (49,7%), il 13,4% aveva avuto un evento cerebrovascolare ed il 24,3% presentava arteriopatia obliterante degli arti inferiori. I pazienti assumevano come terapia ipolipemizzante: statina in monoterapia nell’88.3% (ad alta intensità solo il 22,5%), ezetimibe in monoterapia 1,5%, associazione statina + ezetimibe 9,9% e altre terapie nello 0,3%. Osservando le percentuali di trattamento, è facile comprendere che solo una ridotta quota di pazienti raggiungeva il target di LDL ideale per il proprio rischio cardiovascolare: il 10% nel rischio molto alto e il 14,2% nel rischio alto.

Lo studio di simulazione, condotto utilizzando l’approccio probabilistico Monte Carlo, già precedentemente validato, mostra come, aggiungendo alla statina ulteriori principi attivi, si possa arrivare al target desiderato. La simulazione prevede che non si aumenti il dosaggio della statina, bensì che venga in prima battuta associata l’ezetimibe ai pazienti non a target e che già non la stessero assumendo: con questa modifica, viene stimata una riduzione media del 23% circa dei valori di LDL, portando a target terapeutico circa un ulteriore 24% dei pazienti.

Nei soggetti che, dopo l’introduzione dell’ezetimibe, ancora non abbiano valori ottimali di LDL, vengono ipotizzati due differenti scenari: l’aggiunta dell’acido bempedoico oppure dell’inibitore di PCSK9.

L’acido bempedoico, stimando l’efficacia ipolipemizzante sulla base degli studi CLEAR di fase 3, consentirebbe di ridurre del 16,7% i valori di LDL nei pazienti già in terapia con statina a moderata/alta intensità e del 24.1% nella bassa intensità/assenza di statina. Con questa strategia terapeutica (statina + ezetimibe + acido bempedoico), i pazienti che raggiungerebbero il target sarebbero il 69,5% nell’alto rischio cardiovascolare e il 59,1% nel rischio molto alto.

Nel secondo scenario dello studio, in cui si potrebbe aggiungere l’inibitore di PCSK9 alla statina + ezetimibe, si otterrebbe un’ulteriore riduzione del 59% dei valori di LDL, portando a target circa il 98% dei pazienti. Pertanto, gli autori dimostrano come, nel modello di simulazione, il trattamento con lo schema statina + ezetimibe + acido bempedoico consentirebbe di raggiungere l’obiettivo terapeutico nel 60% dei pazienti e riducendo l’utilizzo degli inibitori di PCSK9 del 29% circa.

Stimando i costi necessari per sostenere la terapia farmacologica per un anno per milione di pazienti, con i prezzi applicati in Germania due anni fa, l’utilizzo dell’acido bempedoico, al posto dell’inibitore di PCSK9, in un terzo dei pazienti consentirebbe di risparmiare circa 1,37 bilioni di Euro per milione di pazienti trattati.

Un’ulteriore interessante stima che emerge da questo studio è quella sul numero di eventi cardiovascolari che si potrebbero prevenire trattando adeguatamente un milione di pazienti: circa 6.148 nel primo scenario (statina + ezetimibe + acido bempedoico) e 7.939 nel secondo scenario (statina + ezetimibe + inibitori di PCSK9).

Dalle evidenze prodotte da Katzmann in questo recente studio, si può asserire che l’utilizzo dell’acido bempedoico in add-on alla statina e all’ezetimibe potrebbe essere una strategia terapeutica da tentare, prima di inserire gli inibitori di PCSK9, al fine di ottimizzare la terapia farmacologica per ottenere un’adeguata prevenzione cardiovascolare primaria e secondaria, soprattutto in quei soggetti maggiormente suscettibili di sviluppare eventi quali i pazienti a rischio alto e molto alto.

Marina Cardellini

Dipartimento di Medicina dei Sistemi

Università di Roma Tor Vergata

Centro per l’Aterosclerosi

Policlinico Tor Vergata

Roma

Bibliografia:

(1) Lipid-lowering treatment and LDL-C goal attainment in high and very high cardiovascular risk patients: Evidence from the SANTORINI study-The Italian experience. EAJ 2023; 1: 1-13

(2) Simulation study on LDL cholesterol target attainment, treatment costs, and ASCVD events with bempedoic acid in patients at high and very-high cardiovascular risk. Plos ONE, 2022; 1-13

(3) Cholesterol Treatment Trialists’ (CTT) Collaborators. Efficacy and safety of LDL-lowering among men and women: meta-analysis of individual data from 174000 participants in 27 randomised trials. Lancet, 2015; 385: 1397-405

Tratto da: Cardiolink, 11 dicembre 2023