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Diabete: dopo la diagnosi lo stile di vita non migliora

Chi riceve una diagnosi di diabete continua ad avere abitudini poco salutari. Perché il cambiamento è così complesso? Cosa fare per incentivarlo?

In Italia si stima siano oltre 4 milioni le persone affette da diabete di tipo 2 (la forma legata principalmente allo stile di vita), e molti di loro mantengono ancora abitudini poco salutari che li espongono a maggior rischio di un decorso peggiore della malattia. È quanto emerge da un'analisi dei sistemi di sorveglianza Passi e Passi d'Argento, coordinati dall'Istituto Superiore di Sanità in collaborazione con le Regioni, pubblicata in occasione della Giornata Mondiale del Diabete. Chi è a maggior rischio? Quali abitudini poco salutari sono conservate anche con una diagnosi di diabete? Scopriamo i dati più importanti.

QUANTO PESA L’ETÀ?

A partire dai dati raccolti nel periodo 2016-2022 su un campione complessivo della popolazione residente in Italia di oltre 285mila persone sopra i 18 anni di età, emerge che la prevalenza di diabete si modifica molto con l’età. Se prima dei 50 anni resta sotto il 5%, dopo questa età sale rapidamente fino al 23% intorno agli 80 anni.

«La maggiore prevalenza del diabete nella popolazione anziana – spiega la professoressa Maria Ida Maiorino, consigliere nazionale della Società Italiana di Diabetologia – riflette da un lato il progressivo invecchiamento della popolazione e dall’altro alcuni fattori tipicamente associati all’invecchiamento che si ripercuotono sul rischio di sviluppare il diabete: la progressiva riduzione del rilascio di insulina, l’insulino-resistenza spesso correlata alle modifiche della composizione corporea a alla diminuzione dell’attività fisica».

CHI È PIÚ A RISCHIO?

La distribuzione geografica da anni mostra una condizione a sfavore delle regioni meridionali: fra gli ultra65enni è pari al 25% nel Sud-Isole contro il 15% nel Nord e 18% del Centro. «Nelle regioni meridionali il PIL procapite è generalmente più basso rispetto a quello delle regioni settentrionali, suggerendo come la ricchezza disponibile e la prevalenza del diabete siano inversamente correlate. Non trascurabile è certamente anche il peso dell’obesità, maggiormente diffusa nelle regioni meridionali e spesso cattiva compagna del diabete».

È anche il gradiente sociale, a sfavore delle persone meno istruite o con maggiori difficoltà economiche, a fare la differenza. Dopo i 65 anni di età la prevalenza di diabete, fra le persone che riferiscono di avere molte difficoltà ad arrivare alla fine del mese, raggiunge e supera il 30% (con una differenza di quasi 10 punti percentuali rispetto alle persone più abbienti). «Il basso livello di istruzione e le carenti risorse economiche sono spesso associate ad una scarsa attenzione nei confronti della prevenzione e degli stili di vita salutari (alimentazione sana ed equilibrata e pratica di esercizio fisico regolare, insieme agli altri fattori di rischio cosiddetti “modificabili”), che possono comportare scompensi metabolici e aumentare il rischio di obesità», riflette Maria Ida Maiorino.

LO STILE DI VITA NON CAMBIA

Dall’analisi emerge anche che le persone che riferiscono una diagnosi di diabete mantengono ancora abitudini poco salutari, che li espongono maggiormente a un decorso peggiore della malattia. Fumo, alcol, sedentarietà e alimentazione sono stati oggetto di indagine e quello che ne emerge non è particolarmente rassicurante. Il 25% dei 18-64enni e il 10% degli ultra65enni, infatti, è ancora fumatore. Anche il consumo di alcol a rischio per la salute, per quantità e modalità di assunzione coinvolge l’11% dei 18-64enni e il 16% degli ultra65enni. Attività fisica e alimentazione non vanno meglio: il 45% dei 18-64enni e il 47% degli ultra65enni è completamente sedentario, mentre solo il 9% dei 18-64enni e il 10% degli ultra65enni consuma giornalmente 5 porzioni di frutta o verdura, come raccomandato dalle linee guida internazionali per una corretta e sana alimentazione.

COME MIGLIORARE?

Nei pazienti diabetici è elevata la concomitanza con altre patologie come obesità, ipertensione, ipercolesterolemia, malattia cardiovascolare, tumore, insufficienza renale e sintomi depressivi. Il profilo di rischio e di salute delle persone con diabete, pertanto, risulta particolarmente fragile. Cosa fare per incentivare un cambiamento nello stile di vita dei pazienti diabetici per ridurre il rischio di peggiorare il decorso della malattia?

«Modificare i propri comportamenti per una vita sana richiede tempo, impegno quotidiano e costanza, un livello di sensibilità e di conoscenze nei confronti di queste tematiche che dovrebbero essere coltivate fin da bambini, un nucleo familiare disponibile e un contesto sociale e ambientale salutare», riferisce la professoressa Maiorino. «Certamente non è semplice cambiare il proprio stile di vita in un’ epoca in cui la pressione sociale è altamente impattante, soprattutto sul comportamento degli adolescenti e dei giovani adulti. Per tale ragione è necessario uno sforzo coordinato della classe medica e delle istituzioni in un approccio definito “health in all policies” per favorire l’implementazione di comportamenti salutari: sensibilizzazione dei soggetti maggiormente a rischio tramite campagne divulgative, educazione nelle scuole, sostegno nel territorio per lo sviluppo di un ambiente salutare».

LA GESTIONE DEI PAZIENTI DIABETICI

Per le persone affette da diabete è di fondamentale importanza garantire un accesso tempestivo e adeguato alle cure. Gestire efficacemente questa patologia cronica richiede un approccio integrato che comprenda non solo la somministrazione di farmaci appropriati, ma anche un monitoraggio regolare, l'educazione del paziente e il coinvolgimento attivo nelle scelte terapeutiche che spesso includono altre patologie oltre al diabete.

Per rilevare la glicemia, ovvero la quantità di glucosio nel sangue in un preciso momento, si possono utilizzare il glucometro o i misuratori CGM (Monitoraggio Continuo della Glicemia). Tuttavia, non va trascurato anche il monitoraggio costante dell’emoglobina glicata. Si tratta di un esame del sangue che fornisce informazioni sui livelli medi di glicemia degli ultimi tre mesi. Le più recenti indicazioni suggeriscono di monitorarla almeno due volte l’anno, ogni sei mesi, fra i pazienti diabetici con un controllo stabile della glicemia, e almeno quattro volte l’anno, ogni 3 mesi, nei pazienti con compenso precario o instabile o nei quali sia stata modificata la terapia. Dai dati 2020-2022, tuttavia, solo il 63% dei pazienti diabetici riferisce di aver effettuato il controllo dell’emoglobina glicata nei dodici mesi precedenti l’intervista.

IL RUOLO DEL COVID

La diffusione del Coronavirus non ha aiutato: durante il primo anno della pandemia emerge un aumento significativo della quota di pazienti diabetici che riferisce di non aver mai controllato l’emoglobina glicata nei 12 mesi precedenti l’intervista, che passa dal 15% al 25% tra il 2019 e il 2020 e resta ancora elevata nel 2022 (19%) con una stima non paragonabile ai valori pre-pandemia.

«Durante la pandemia le attività ambulatoriali e diagnostiche, per far fronte all’emergenza sanitaria, hanno subito forti rallentamenti, anche con fasi di interruzioni, causando ritardi per le prestazioni non urgenti e talvolta la rinuncia a prestazioni sanitarie, sebbene ritenute necessarie. Questo ha certamente avuto un impatto sulle persone con il diabete, anche se non possiamo ancora bene quantificarlo nel lungo termine. Tuttavia, la pandemia ha rappresentato anche un incentivo per l’implementazione della telemedicina e della “digitalizzazione” dei sistemi di cura, che ha avuto il merito di assicurare l’assistenza medica anche alle persone più lontane dai centri anti-diabete di riferimento».

Sorveglianza PASSI, Istituto Superiore di Sanità

“Standards of Medical Care in Diabetes - 2022 Abridged for Primary Care Providers” Clinical Diabetes - American Diabetes Association

Tratto da: Fondazione Veronesi, Caterina Fazion, 02 gennaio 2024