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Programmi di gestione del diabete riducono del 28% il rischio di demenza

I programmi di gestione del diabete, non solo aiutano con il controllo glicemico, ma hanno un effetto protettivo anche in termini di riduzione del rischio di sviluppare la demenza. A dimostrarlo è uno studio pubblicato sulla rivista Jama Network Open e condotto su un periodo di 8 anni a Hong Kong.

I programmi di gestione del diabete, non solo aiutano con il controllo glicemico, ma hanno un effetto protettivo anche in termini di riduzione del rischio di sviluppare la demenza. A dimostrarlo è uno studio pubblicato sulla rivista Jama Network Open e condotto su un periodo di 8 anni a Hong Kong.  La ricerca che ha coinvolto 55.618 partecipanti, alcuni dei quali iscritti a RAMP-DM (The Risk Assessment and Management Programme-Diabetes Mellitus). I risultati hanno dimostrato che coloro che hanno preso parte a questi programmi di gestione del diabete hanno sperimentato una riduzione del 28% nel rischio di demenza per tutte le cause, una diminuzione del 15% nel rischio di malattia di Alzheimer, un significativo calo del 39% nel rischio di demenza vascolare e una riduzione del 29% nel rischio di demenze di altro tipo o non specificate, rispetto a coloro che ricevevano cure standard.

Avogaro (SID): “Un passo in avanti nella lotta alle demenze nelle persone con diabete”

In particolare, i partecipanti con livelli più elevati di Emoglobina A1C (HbA1C) presentavano un rischio significativamente aumentato di demenza, che variava dal 17% al 54%, sottolineando il ruolo critico del mantenimento di livelli ottimali di glucosio nel sangue. Questo studio evidenzia anche l’efficacia dei programmi multidisciplinari di gestione del diabete nel modificare la traiettoria del declino cognitivo. Oltre 27.809 pazienti con diabete di tipo 2 che ricevevano servizi di assistenza primaria sono stati accuratamente abbinati in rapporto 1:1 con individui sottoposti a trattamento standard, garantendo la robustezza e l’affidabilità dei risultati dello studio. “La SID (Società italiana di di diabetologia) considera questi risultati come un passo fondamentale nella lotta contro lo sviluppo precoce di malattie neurodegenerative, tra la popolazione diabetica”, dice Angelo Avogaro, presidente della SID.

Migliorando l’assistenza del diabete si può ridurre l’onere della demenza

“Questo studio aggiunge un ulteriore tassello ai vantaggi del controllo accurato dei livelli glicemici e aumenta la consapevolezza della connessione tra la gestione del diabete e la salute cognitiva”, sottolinea Avogaro. “Dando priorità e migliorando l’assistenza del diabete, possiamo compiere passi significativi nel ridurre l’onere della demenza, migliorando la qualità della vita per milioni di persone in tutto il mondo” aggiunge. L’eccesso di zuccheri nel sangue, una caratteristica del diabete non ben gestito, può influenzare lo sviluppo della demenza attraverso diversi meccanismi fisiopatologici che coinvolgono varie vie metaboliche, infiammatorie e vascolari. I meccanismi vanno dalla formazione di prodotti finali di glicazione avanzata (AGEs) che possono alterare la funzione delle proteine e promuovere lo stress ossidativo e l’infiammazione, contribuendo alla patogenesi della demenza.

La resistenza all’insulina può contribuire alla neurodegenerazione

L’iperglicemia cronica aumenta lo stress ossidativo, cioè la produzione di radicali liberi che possono danneggiare le cellule cerebrali. Ciò può portare a un’aterosclerosi accelerata e aumentare il rischio di demenza vascolare. Il diabete di tipo 2, inoltre è comunemente associato alla resistenza all’insulina, che non solo influisce sul metabolismo del glucosio ma può anche avere effetti diretti sul cervello. L’insulina ha ruoli importanti nella neurotrasmissione, nella plasticità sinaptica e nella sopravvivenza neuronale. La resistenza all’insulina può perturbare questi processi e contribuire alla neurodegenerazione. Questi meccanismi non agiscono isolatamente ma si influenzano reciprocamente, contribuendo alla complessità della relazione tra diabete e demenza. La ricerca continua a esplorare questi collegamenti per sviluppare strategie preventive e terapeutiche più efficaci.

Tratto da: Sanità Informazione, Valentina Arcovio, 22 febbraio 2024