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Nuove speranza dalla terapia genica per l’insufficienza cardiaca

Un virus innocuo è stato usato per trasferire nelle cellule cardiache un gene importante per una corretta funzionalità del cuore. La procedura ha ridotto di due terzi il rischio di morire a causa della malattia.

Diuretici, ACE-inibitori, β-bloccanti, sartani: sono solo alcuni dei farmaci che cercano di aiutare chi soffre di insufficienza cardiaca, quella condizione in cui il cuore non riesce più bene a far fronte al suo dovere, cioè pompare il sangue efficacemente in tutti i distretti corporei. Ipertensione, patologie coronariche, aritmie, cardiopatie valvolari, ma anche diabete, malattie della tiroide, apnee notturne, disfunzioni renali possono esserne la causa o contribuire ad aggravarla.

Si stima che ne soffrano, nel mondo, circa 28 milioni di persone, 600 mila solo in Italia, pazienti che seguono una terapia farmacologica che però, da qualche tempo, non riesce a incidere granché sui tassi di ospedalizzazione e mortalità che restano pressoché costanti. La frequenza della patologia, poi, aumenta con l’età, specialmente quando si varca la soglia dei 65 anni e, con il prolungarsi dell’aspettativa di vita, il numero di chi soffre di insufficienza cardiaca è destinato a crescere sempre di più.

Servirebbe, secondo gli addetti ai lavori, una svolta terapeutica, un’innovazione come quella che sembrano aver trovato all’Università di San Diego, in California. Qui è partita la sperimentazione di una terapia genica contro questa patologia cardiaca. Sulla rivista JAMA Cardiology, sono stati descritti i risultati della seconda fase di studio clinico su questo nuovo trattamento, quella dove si indaga sull’attività terapeutica esercitata sull’uomo da una nuova potenziale cura.

I ricercatori hanno sperimentato su 42 pazienti, con insufficienza cardiaca sintomatica e una funzionalità del cuore al di sotto del 40 per cento, un sistema di gene transfer, un processo mediante il quale un virus innocuo è stato usato per trasferire un gene nelle loro cellule cardiache attraverso cateterismo cardiaco, una procedura usata di routine nella diagnostica cardiologica.

Il gene in questione codifica per la proteina adenilato ciclasi 6 (AC6), una molecola importante per una corretta funzionalità cardiaca la cui quantità e attività risulta ridotta nei pazienti con insufficienza cardiaca. L’effetto della terapia genica è stato confrontato poi con quello di un placebo somministrato a 14 individui in analoghe condizioni di salute.

«Già a un mese dal trattamento con AC6 abbiamo riscontrato i primi miglioramenti della funzione ventricolare sinistra rispetto a quanto avveniva con il placebo e dopo tre mesi i pazienti in cura con la terapia genica mostravano una chiara diminuzione della sintomatologia da insufficienza cardiaca come difficoltà respiratoria e affaticamento», dichiara Kirk Hammond, cardiologo a San Diego.

Non solo, a un anno dalla sperimentazione il 29 per cento di chi aveva ricevuto il placebo aveva subito almeno un ricovero ospedaliero contro il 9,5 per cento di chi era stato trattato con AC6, mentre i tassi di mortalità nei due gruppi sono stati stimati, rispettivamente, intorno al 7,1 e al 2,4 per cento.

«I risultati sono promettenti e la terapia genica non ha mostrato di causare eventi avversi in misura significativamente superiore al placebo», continua Hammond, «questi dati ci fanno ben sperare per poter curare questi pazienti senza farmaci o dispositivi medici in grado solo di tamponare e gestire la situazione a breve, ma di intervenire per ricostruire l’architettura danneggiata del cuore fornendo quindi benefici più duraturi».

Questa nuova terapia per l’insufficienza cardiaca dovrà, però, superare altri studi clinici prima di poter essere approvata e utilizzata nella pratica corrente, studi che ne confermino la reale efficacia su un più esteso numero di pazienti e che ne valutino con precisione il rapporto rischi-benefici.

Tratto da: Healthdesk, Cristina Gaviraghi, 07 aprile 2016