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Malati cronici, parte da Brescia la rivolta dei medici di base

La Regione stabilisce che la cura dei malati cronici sia affidata a «non meglio precisati enti gestori». Umi si rivolge al Tar per bocciare il sistema di gestione del Pirellone.

I malati cronici sono tanti - più di 3 milioni in Lombardia - ma se la cura di queste persone viene affidata a «non meglio precisati enti gestori», come stabilisce la Regione, allora c’è il rischio concreto che il medico venga «estromesso dalla gestione del paziente». Si tratta di un’impostazione che secondo Francesco Falsetti è «in contrasto con la normativa nazionale».

Per il presidente dell’Unione Medici Italiani (Umi) c’erano sufficienti elementi per ricorrere al Tar. Ed è quello che l’associazione ha fatto il 3 aprile scorso. L’Umi è stata l’unica a richiedere l’annullamento della delibera regionale X/6164 del 30 gennaio, quella sul «governo della domanda». In sostanza Palazzo Lombardia, nel tentativo di dare attuazione alla legge di riforma, ha stabilito che i pazienti cronici vengano suddivisi in fasce, sulla base della patologia. Con i più fragili e complessi assegnati a ospedali pubblici e cliniche private, tramite i loro enti gestori. Tra paziente e ente gestore si dovrebbe stipulare un patto di cura. Ma secondo Falsetti si tratta di «una contraddizione», visto che «sia la legge del Servizio sanitario nazionale sia la Balduzzi del 2012 prevedono che i malati siano affidati a un medico e non ad una struttura».

C’è quindi un’incoerenza, che in realtà per l’Umi è anche qualcosa di sostanziale: «bisogna curare le persone e non le singole patologie. Altrimenti - dice Falsetti - si cambia il paradigma del servizio sanitario. E rischiamo di andare verso un sistema assicurativo» che copre certe patologie e non tante altre. Oltre che dal presidente dell’Unione medici italiani, il ricorso è stato sottoscritto da altri 22 medici che operano in Lombardia, alcuni dei quali bresciani. Sullo sfondo c’è il timore che il nuovo modello di «governo della domanda» possa depotenziare il ruolo dei medici di famiglia, che in questi anni sono stati più volte chiamati dalla Regione a diventare «protagonisti» dei percorsi di cura sul territorio. Ma secondo l’Umi il «patto di cura» rischia di determinare «una rigidità del programma terapeutico», superando la personalizzazione dell’approccio al malato oggi ancora consentita. In effetti, diverse associazioni che rappresentano i medici di famiglia avevano espresso perplessità su questa delibera che riguarda in Lombardia 3 milioni di persone. Ma l’Umi ha ravvisato che vi fossero anche elementi contraddittori: la legge di riforma stabilisce una distinzione tra programmazione ed erogazione.

«Ora - osserva Falsetti - se l’ente gestore fa programmazione attraverso il Piano di Assistenza Individuale (Pai), allora come fa a essere anche l’erogatore?». Non si esclude infatti che la stessa Regione possa nei prossimi mesi apportare delle modifiche alla delibera per superare alcuni problemi: per l’Umi, ad oggi, c’è confusione di ruoli tra strutture e medici di famiglia. Il ricorso al Tar colpisce uno dei cardini della riforma, ossia il governo della domanda: in gioco, in effetti, c’è tutta la partita dell’organizzazione delle cure dei malati cronici che, va ricordato, assorbono gran parte del budget sanitario. Bisogna trovare una soluzione che sia la migliore possibile, capace di coniugare la sostenibilità del servizio sanitario alle esigenze di appropriatezza clinica e governabilità.

matteo.trebeschi@gmail.com

Tratto da: Corriere della Sera Brescia, Matteo Trebeschi, 07 aprile 2017